La morte di una persona cara crea un deserto nel corpo e nell’anima. All’inizio, chi resta si fa monade, alla deriva, sguardo attonito, incredulo. E, tuttavia, continua, non si ferma, parla anche per l’assente e col suo fantasma: l’amore gli restituisce fotogrammi di monti, boschi, laghi, mare; e, con essi, suoni: voci, sibili di tramontana, scrosci di onde sugli scogli, echi di passi
Ci sono poeti che, pur vagheggiando, nei loro versi, di dar voce all’umanità intera, sono capaci di narrare solo la propria pallida epopea... Ce ne sono altri, invece, che, anche quando raccontano un loro fatto privato, riescono a mettere insieme le voci di tutti gli esseri umani... Se affrontano, ad esempio,
il dolore, ne colgono l’universalità di radici sostanza e linguaggi e trovano in sé stessi la forza di dargli corpo e forma. Una tragedia spalanca, nel cuore, una voragine tetra e informe. Che rimarrebbe tale, se non ci fosse un poeta a farne canto e musica. Grazie a lui, il baratro, allora, diventa vetta, lambita dal primo sole del mattino. E il buio s’illumina; si fa preghiera: parola che lenisce, cura e rigenera... La ragione, per sua natura, è incapace di comprendere il senso e lo scopo di un’esistenza in cui regna il mutamento: ogni cosa cambia volto, attimo per attimo; il velo di Maia crea illusioni che scivolano via come nubi spinte dallo Scirocco… La morte di una persona cara crea un deserto nel corpo e nell’anima. All’inizio, chi resta si fa monade, alla deriva, sguardo attonito, incredulo. E, tuttavia, continua, non si ferma, parla anche per l’assente e col suo fantasma: l’amore gli restituisce fotogrammi di monti, boschi, laghi, mare; e, con essi, suoni: voci, sibili di tramontana, scrosci di onde sugli scogli, echi di passi… Ritornano atmosfere. E il tepore di un letto, dove l’amore è stato celebrato e servito con devozione, con la certezza che mai il tempo lo avrebbe fermato…
A testimoniare l’esistenza di poeti meritevoli di essere annoverati tra gli appartenenti alla seconda delle categorie citate all’inizio, ci sono i versi della silloge “Coma” che, la poetessa Ada Crippa ha dedicato all’ agonia e alla morte del marito: “… non c’è favola nei libri narrata/ che prende dimora/ nella mia casa di vento… E più: nessun sogno alloggia/ Nei letti vuoti d’abbracci. Solo Silenzio, dopo… Ada però, non si è arresa al silenzio. Invertendo i ruoli di Orfeo ed Euridice, lei, sopravvissuta, ha riacceso la luce: ha messo a nudo l’umana fragilità che l’accomuna agli altri viventi, ne ha fatto un canto corale, mescolando la sua alle voci di tutti. Rimasta sola, ha ricominciato a dialogare col suo innamorato, ha ripreso il cammino. Al deserto ha contrapposto la speranza. E ha stimolato il lettore a intuire il senso dell’esistere, l’irreversibilità del tempo, la preziosità di ogni istante della vita; e a non sprecare neppure un attimo, quando ancora si ha il privilegio di stare insieme e felici.