Il poeta Antonio Ranucci ha lasciato versi in ogni luogo, talvolta dimenticando addirittura di conservarne una copia per sé. Come la Sibilla Cumana, sacerdotessa di Apollo, scriveva sulle foglie vaticini che inesorabilmente andavano persi, così per tanti anni ha fatto Ranucci, lasciando volare via pensieri ed emozioni. Ora, però, tutta quella poesia finalmente è recuperata in un’opera che, guardando al presente e al passato, scava nella memoria di un mondo e di un modo di vivere che appartiene a tutti noi. Un’interpretazione degli accadimenti, belli o brutti che siano stati, che solo un poeta è capace di fare, utilizzando la sua sensibilità per vedere quello che gli altri non percepiscono, e cogliere sfumature che sfuggono ai più. Ranucci racconta la vita con uno strumento affascinante ma difficile da maneggiare: il vernacolo napoletano. Sono in pochi a conoscere effettivamente questa lingua, ed egli è certamente fra questi. L’autore di questa raccolta è il poeta dei ricordi, della giovinezza, della vitalità, degli amori. Momenti del nostro quotidiano narrati senza patetica nostalgia ma con sagace ironia. È questo il Ranucci che tutti conoscono: quello della poesia pronta e improvvisata, della battuta efficace, delle poesie regalate e recitate all’impronta, l’uomo di pace e di amicizia.