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Vacanze necessarie e difficili

di Franco Salerno

Numero 222 - Luglio-Agosto 2021

Il concetto di ferie “senza eccessi” nasce nella cultura latina. Quelle di quest’anno sono decisive per evitare il ritorno della pandemia


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Vacanze necessarie e difficili. Necessarie, perché siamo arrivati a luglio stremati dalla lunga e terribile pandemia e dunque abbiamo bisogno di riposo e, al tempo stesso, di socialità. Difficili, perché comunque dovremo sorvegliare i nostri comportamenti, ispirandoli all’autocontrollo. Esse servono a darci nuova forza, nuova linfa per affrontare nuove prove e nuovi ostacoli. -taglio-Gli antichi Romani sono stati i supremi teorici del ruolo positivo della vacanza, a patto che essa mantenga il suo giusto limite entro cui muoversi. Vediamo come questo concetto emerge dalla letteratura latina, che è pur sempre la madre della cultura occidentale. L'importanza del riposo è sancita da Ovidio, che morì nel 18 d. C. dopo un lungo esilio a Tomi, nell'attuale Romania. Egli scrisse che "il riposo nutre il corpo e anche l'anima è rinfrancata da esso", tesi sostenuta anche dal greco Plutarco, il quale definì poeticamente il riposo come "il condimento delle fatiche". E il concetto stesso di "ozio" per i Latini coincideva con l'«ozio letterario»: il vero scrittore riusciva, per loro, a dare il massimo della sua produzione letteraria, quando poteva dedicarsi esclusivamente ad essa. Seneca scrisse nelle sue "Epistole a Lucilio": "La vita di riposo senza le lettere equivale alla morte e alla sepoltura dell'uomo vivo". Di qui il concetto negativo di ozio, vissuto dai nullafacenti e dagli ignavi: loro sono capaci di rimanere per molti giorni a "guardare il soffitto", cioè a rimanere a letto senza far nulla o pensare a nulla. Espressione, questa, feroce e sarcastica, perché il grande poeta satirico Giovenale la usa per indicare il marito compiacente, che gode del suo molle ozio, accettando in silenzio e passivamente i doni dell'amante della moglie. La vacanza, dunque, se finalizzata ad esiti giusti e nobili,-taglio2- serve a corroborarci per un "nuovo inizio". Questo si configura come un tema cardinale, che attraversa tutta la letteratura latina. Ci credevano i teorici della politica come Cicerone. Che, nel suo "La repubblica", sostiene la teoria secondo cui il ciclo sociale e istituzionale ricomincia sempre daccapo; per cui la monarchia, degenerata in tirannide, apre la strada all'aristocrazia, che finisce in oligarchia, per poi passare alla democrazia, che si corrompe nella oclocrazia, cioè nel dominio caotico delle masse. Solo a questo punto, si può innescare un "nuovo inizio". E, così, nel I sec. a. C., Virgilio nella "Quarta Bucolica" formulò uno dei suoi più celebri vaticini letterari, che gli valse l’appellativo di “Mago” e la scelta da parte di Dante nella “Divina Commedia” come guida nell’Inferno e nel Purgatorio. Egli profetizzò la nascita di un Fanciullo Salvatore e di una Vergine che avrebbe schiacciato un serpente: con loro sarebbe nata una società fondata sull'Amore e sulla Giustizia. Il poeta alludeva al figlio del suo amico Asinio Pollione; ma i medievali, e Dante tra essi, lessero in questi versi l'annuncio del "nuovo inizio" segnato dall'Era cristiana, incardinati sulla Madonna e su Cristo. Di un nuovo inizio abbiamo bisogno fortemente anche noi, uomini del 2011, fortemente affranti nel corpo e nella psiche.





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