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Una chitarra magica

di Antonino Ianniello

Numero 239 - Aprile 2023

Un crossover tra vari generi quello di Massimo Puglia, chitarrista e compositore tra i più interessanti della scena italiana


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In questo numero di aprile qui su Albatros ci occuperemo del poliedrico chitarrista napoletano che risponde al nome di Massimo (Max) Puglia. ‘MassimoMax’ è un anche un pregevole compositore oltre che mago della ‘sei corde’. La sua musica, suggestionata dal Jazz, dal Flamenco, dalla musica napoletana e dalla etnica, è una forma di ‘crossover’-taglio- (termine che indica la tendenza contemporanea all’ incrocio - crossing - di generi musicali differenti)… restando, quindi nel campo delle contaminazioni. I suoi lavori sono influenzati dalle esperienze di vita. Max Puglia studia con Jim Hall e Gerardo Nunez (chitarrista e compositore spagnolo con radici nel flamenco non disdegnando suonare fusion e jazz). Viene forgiato sotto l’aspetto umano e didattico. Dal 2004, data di uscita del suo primo album, per Max è tutto un susseguirsi di collaborazioni ispirate e ricerca della composizione. Il suo lavoro ‘Walking in Vietri’ pubblicato dalla ‘Bam Records’, contiene delle composizioni che ancora lo accompagnano nei live. Iniziamo dalle novità di quest’anno… “Quest’anno, in collaborazione con Vito Ranucci, usciamo con un album dedicato al Miles Davis “flamenco” e lo portiamo per 2 concerti a novembre al Bologna Jazz Festival. La lista dei musicisti con i quali ho collaborato è lunga, ne cito 3: Javier Girotto, Horacio El Negro Hernandez e Antonella Ruggiero. Al mio attivo dieci anni di Hermanos (A Virtuoso Guitar Trio), un docufilm e più di 200 concerti insieme. Nati nello stesso quartiere ed amici da sempre. Solo da poco, e con la maturazione professionale acquisita, abbiamo pensato di suonare insieme. L’amore per la chitarra nylon e per la musica Latina ci ha messi in discussione sia come artisti che come chitarristi. Nei nostri concerti non sai mai cosa può succedere, l’interplay è totale e se capita che una sera uno dei tre non è in vena, viene travolto dall’energia degli altri. A livello estetico ed improvvisativo abbiamo toccato ormai l’apice ed anche quando collaboriamo con altri musicisti (soprattutto batteristi) il trio fa paura per la sua capacità empatica.” Qual è, secondo la tua impressione, la condizione del jazz italiano e quello napoletano? “Mi fa piacere tu abbia sottolineato la distinzione tra jazz italiano e napoletano, perché la differenza è sostanziale sia nei contenuti che nella consistenza. Se partiamo dal background folklorico in Italia ci sono solo 2 grosse realtà: quella del Sud con Napoli capofila che attinge ad un patrimonio ritmico e melodico veramente impressionante e quello Sardo. E questo se parliamo di contenuti, ma in realtà non esiste un jazz napoletano o meglio non esistono jazzista napoletano, la cui popolarità varchi il Garigliano. -taglio2-A me non viene in mente nemmeno un nome. Esiste una scuola Casertana o quella Salernitana. Ma di Napoli niente, e la ragione, o la colpa, va cercata nell’individualismo partenopeo… quella presunzione d’esser convinti che la tradizione storico/musicale della nostra città sia patrimonio acquisito per genetica la dice lunga. Per questa riflessione le vecchie glorie del cosiddetto Neapolitan Power non hanno lasciato il testimone alle nuove generazioni, anzi hanno confuso le acque … come se la musica a Napoli fosse iniziata e morta con loro. Autocelebrazione che non trovi nelle altre città!” Cos’è il Nuovo Flamenco Napoletano. Cosa è accaduto perchè tu diventassi riconoscibile con un sound tutto tuo che ammalia e tiene legato l’ascoltatore alla tua musica? “Io non sono un jazzista (non ne conosco il linguaggio) e non suono il Flamenco (non ne adotto la tecnica), ma credo fermamente nella composizione istantanea e quindi nella necessità di improvvisare. Ma sono soprattutto un compositore e prima ancora un ascoltatore. Ho l’esigenza di comunicare attraverso la mia musica, ma deve piacere prima a me. Gli assoli onanistici del jazz e l’estetica chiaramente identificativa del Flamenco non mi piacciono, ma sono sicuramente attratto dalla dialettica di queste musiche. Per questo motivo le mie composizioni sono così tanto articolate e lasciano il 30% all’improvvisazione, perché ho bisogno che la composizione respiri e non sia continuamente interrotta dal solo. Questo fa sì che l’ascoltatore sia rapito prima dalla composizione, dalla cantabilità, e solo dopo ne apprezzi la sapiente esecuzione. Non mi interessa essere ricordato come un mediocre chitarrista ma come un discreto compositore.” Che cosa raccomanderesti ai giovani di oggi che vengono distratti da falsi miti e non considerano la musica? “Il problema della musica e dell’arte in generale è che deve essere in qualche modo quantizzata (visualizzazioni, like, soldi) quando invece dovrebbe solo essere idealizzata. Infatti, il musicista è in questa terra di mezzo (quando crea non lavora e viceversa). Il mio consiglio è tenere in considerazione un piano B, un lavoro convenzionale, che ti faccia creare scevro dai numeri.”





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