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Un classico della letteratura

di Maresa Galli

Numero 235 - Novembre 2022

Al Teatro di Napoli – Teatro Nazionale inaugura la stagione il celebre romanzo di Raffaele La Capria “Ferito a morte”, nell’adattamento Di Emanuele Trevi e con la regia di Roberto Andò


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Il Teatro di Napoli-Teatro Nazionale Mercadante inaugura la Stagione con un classico della letteratura italiana: “Ferito a morte”, romanzo del 1961 di Raffaele La Capria “Premio Strega” dello stesso anno, nell’adattamento teatrale firmato da Emanuele Trevi e la regia di Roberto Andò, in prima assoluta nazionale. -taglio- La produzione dello spettacolo è del Teatro di Napoli-Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival, Emilia Romagna Teatro ERT-Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale. Incantano le scene e le luci firmate da Gianni Carluccio, il suono di Hubert Westkemper e i video di Luca Scarzella, perfetta macchina scenica, nel rappresentare il mare che tutto invade – casa, vita, dolci memorie, giovinezza e rimpianti del protagonista, Massimo De Luca, perfettamente interpretato da Andrea Renzi, voce narrante; il giovane Massimo è interpretato da Sabatino Trombetta. Il racconto del protagonista inizia con la pesca subacquea della spigola che guizza nel pieno della vita, prima che ti abbandoni, da pescare solo perché è tanto bella e vitale, e i suoni, stranianti, ovattati nel fondale marino. Tappeto sonoro, nello splendido lavoro targato Westkemper, mago dei suoni di scena, sono i versi di Auden, le risate e le voci sovrapposte di giovani allegri e spensierati nelle estati dorate della borghesia napoletana degli anni ’40 e ’50. Tempus fugit, e con esso i sogni di gloria e di bellezza della gioventù, fluida come il mare, in una città “che ti ferisce a morte o t’addormenta”, frase ripetuta da tutti gli attori, leit motiv del romanzo. La scenografia ben evidenzia il contrasto tra dentro/fuori, coscienza e vita sociale, individuo/famiglia, mescolando interni ed esterni, stanze dell’appartamento di Palazzo Donn’Anna e il Circolo nautico, “osservatorio da cui potevi spingere lo sguardo fino all’odiata classe media, causa ed origine di tutti i mali del sud”. Le belle musiche, tra arie d’opera, motivi jazzati e classici napoletani, restituiscono, assieme ai bei costumi di Daniela Cernigliaro, lo spirito del tempo. Tutti bravi e in parte gli attori del cast, per il grande lavoro corale immaginato da Andò: Giovanni Ludeno nel ruolo di Ninì; Gea Martire, la signora De Luca, Paolo Mazzarelli, Sasà, Paolo Cresta, Gaetano, Aurora Quattrocchi, la Nonna, Marcello Romolo, zio Umberto, Giancarlo Cosentino, il signor De Luca. Completano il cast Matteo Cecchi, Cocò, Lorenzo Parrotto, Guidino, Antonio Elia, Glauco, Rebecca Furfaro, Betty, Laure Valentinelli, Carla, Clio Cipolletta, Assuntina, Vincenzo Pasquariello, il Cameriere.
Il mare è flusso amniotico di coscienza, proiezione della dell’autore, è Napoli interiorizzata, e come l’elemento naturale possiede una consistenza liquida. Nel mare Massimo vede riaffacciarsi volti, suoni, feste divertenti e malinconiche, ripartendo dall’infanzia, da sé per raccontare un mondo.-taglio2- “Ferito a morte” è un grande romanzo che parte da Napoli e diviene universale, con la città madre e ventre che partorisce bellezza ma anche ombre. Il tempo diviene dispositivo della mente e del flusso di coscienza e nella limpida scrittura di La Capria una sola giornata contiene un intero universo. Bella la lingua adoperata dallo scrittore che offre mille suggestioni, lingua anche sensuale e a tratti comica, ben sottolineata nella sua ricchezza da contrappunti bachiani e dall’ottima drammaturgia del suono. -taglio2- Che noia la Napoli usata e abusata come metafora, che assurdità il tempo letto solo come scorrere inesorabile delle età della vita – tutto lo spettacolo è un flusso. “Forse il grande tema di “Ferito a morte” – racconta Andò - è il tempo, l’irretimento e l’abbandono che convivono in modo speciale nel nostro modo di sostarvi dentro, nella nostra coscienza del suo scorrere incessante fuori e dentro di noi. Non sono il primo che porta un romanzo a teatro, basterebbe citare l’esempio del “Pasticciaccio” di Gadda con la regia di Luca Ronconi, per rintracciare un solco solido e riconoscibile. Ma perché un romanzo per fare teatro? Scrive Starnone: - “i tratti fisici dei personaggi e delle figure chiacchierine erano nitidissimi e tuttavia non definiti, solo nomi e voci che subito lasciavano il posto ad altre tracce di nomi e di voci. Gli ambienti appena tratteggiati si dissolvevano in altri ambienti. L’ora, l’anno si confondevano con altre ore e anni del passato e del futuro. Tutto pareva chiuso in un cerchio luminosissimo, precariamente attraversato dalle parole, dalle presenze umane, storie e Storia bruciate da un eccesso di esposizione alla luce”. Come si fa in teatro a rendere questo continuo sfumare di sensazioni, ambienti, volti, voci che scolorando dall’uno all’altro s’inabissano nella luce o nella trasparenza dell’acqua del mare? Come si fa a dar conto del sentimento con cui ci separiamo dall’intensità insopportabile di ciò che abbiamo vissuto, decantato dal lampeggiare insistito del ricordo? È una sfida, un azzardo forse, ma vale la pena di correrne i rischi”. Chi più del teatro può rendere il fuggevole? Raffaele La Capria, aveva compreso quanto l’esistenza sia evanescente e liquida, e nel confuso, lontano flusso di volti e voci che spesso riemergono la malinconia diviene specchio dei sogni di gioventù. Il lavoro teatrale sarebbe piaciuto a La Capria che aveva preso parte al progetto, una “resa dei conti” come “La recherche” proustiana tanto cara a Dudù scomparso alla soglia dei cento anni.





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