Sulla scena internazionale si affermano sempre più artisti africani, artefici di sperimentazioni e innovazioni estetiche e concettuali. Tracey Rose rientra a pieno titolo tra gli artisti di talento che leggono i fenomeni socioculturali e geopolitici, con un’arte resiliente che pone questioni etiche
Sulla scena internazionale si affermano sempre più artisti africani, artefici di sperimentazioni e innovazioni estetiche e concettuali. Tracey Rose rientra a pieno titolo tra gli artisti di talento che leggono i fenomeni socioculturali e geopolitici, con un’arte resiliente che pone questioni etiche. Performance, fotografie, installazioni, -taglio-sculture interpretano la realtà socioeconomica dell'Africa, la mondializzazione e le sue diseguaglianze. Tracey Rose nasce a Durban, in Sudafrica, nel 1974, da una famiglia cattolica di origini scozzesi e khoisan (dalle etnie africane khoi e san). Vive a Johannesburg, dove si laurea in Belle Arti all’Università di Witwatersrand due anni dopo l’abolizione dell’apartheid. Crescere a Jo'burg, spiega, le consente di sentirsi libera, capace di sperimentare. Artista multimediale, femminista, attratta dalle tematiche dell’identità, del sesso, del genere, è famosa per le sue performance provocatorie, videoinstallazioni e foto. Spesso mette in scena il proprio corpo, provocando il voyeurismo per mostrare il disagio femminile e meticcio “in un mondo di machos in bianco e nero”. Rose, che ha tenuto mostre personali in Sudafrica, Europa e America, ha partecipato a diverse edizioni della Biennale di Venezia. Tra le sue opere più famose, “False Flag: A Deed in 2 Acts”, dove il corpo diviene un puzzle per rappresentare la mistificazione della realtà. In “TKO (Technical Knockout)” l’artista lotta con forza con un sacco da boxe ripresa da quattro diverse angolazioni, così come in “Ciao Bella”, una videoinstallazione a tre schermi che ricorda l’ “Ultima Cena”, con la trasfigurazione di tutti i personaggi. -taglio2- In “Ongetitled (Untitled)” Rose filma l’atto di liberarsi di tutti i suoi peli, metafora di superamento dei limiti imposti dalla forma femminile e maschile. E ancora esprime una riflessione sulla religione con l’opera “Waiting for God”, videoinstallazione che mostra l’attesa sul Monte degli Ulivi. Molto forte anche il segno che lascia nella fotografia, come dimostra lo scatto “Il bacio”, del 2016, presentato alla mostra “L'Iris de Lucy” al Museo dipartimentale d’arte contemporanea di Rochechouart (Francia). L’opera stimola una riflessione critica sulla rappresentazione dell’identità nella storia dell’arte occidentale, “rivisitando” l’opera “Le Baiser” di Auguste Rodin: nel suo scatto un uomo di colore ed una donna bianca, nudi, si baciano. “La performance – spiega - diventa una decisione politica per mantenere l'opera viva, rilevante e in movimento”. Il ruolo degli artisti, per Rose, è quello di neo-sciamani, artefici di cambiamenti che portano alla guarigione. Spesso Tracey Rose ha discusso con i curatori di mostre ed eventi che volevano relegarla in un ruolo stereotipato, costringendola a raccontare solo l’apartheid e le disuguaglianze. Con la sua arte sa esprimere molto di più. Se oggi manca ancora una scuola d’arte contemporanea africana, esiste l’arte contemporanea dell’Africa, fervido movimento culturale che sta già dando grandi frutti con opere che gettano uno sguardo diverso che sta conquistando anche il mercato.