“Disillusion” è il nuovo album di Michele Perruggini, un disco jazz ma con al suo interno tante anime, da scoprire, ascoltare e riascoltare
Il nuovo disco del jazzista Michele Perruggini dal titolo “Disillusion” (Abeat Records), è un lavoro di forte ispirazione, che conferma le grandi doti dell’artista, con eccellenti composizioni originali sorrette da un cast stellare. Come in un caleidoscopio ci si imbatte in una continua girandola dove confluiscono vari generi e stilemi musicali, influenze culturali dal bacino del Mediterraneo, dal continente Africano e dalla tradizione Classico Sinfonica. Su tutto, una particolare connotazione tipicamente italiana: la grande melodia.-taglio- Vuoi raccontarci il significato del titolo “Disillusion” e cosa vuoi trasmettere con questo lavoro? “Per me un'opera musicale non è solo una sequenza di brani. Mi piace che ci sia dietro un’idea, un pensiero. In ogni mio album ho sempre inserito il concept che spiega l'umore che ha ispirato il lavoro. In questo caso, la disillusione legata alla crescita, alla consapevolezza e allo svanire delle certezze dell’infanzia, si collega alle note che esprimono tale sentire attraverso varie sfumature: dolore, rabbia, accettazione, resilienza, tenacia, amore, curiosità di scoprire cosa nasconde il velo frapposto tra noi e la verità… Mi piace pensare che la musica che scrivo sia permeata di tutto questo, e che la verità emozionale arrivi all’ascoltatore, così come arriva a me mentre scrivo di pancia. Tante volte mi sono ritrovato a piangere o a rabbrividire mentre componevo travolto dalle emozioni. Infatti, dico sempre che la mia musica potrà piacere o meno, cosa che ovviamente capisco e rispetto, ma nessuno potrà mai dirmi che non è vera, perché rivela esattamente il mio sentire più profondo.” Questo è un disco che hai composto, arrangiato e prodotto. Hai ovviamente suonato la batteria. Molti ospiti, tra i quali Beccalossi e Olzer. Come si è svolto il lavoro in studio? “La mia musica ha un carattere sinfonico ed esprime diverse immagini, non è limitata dal dover rispettare la purezza di un genere preciso, per cui si presta ad ospitare diversi musicisti. Relativamente al lavoro in studio, si è svolto in piena armonia perché parliamo di musicisti straordinari con cui si è creata subito una grande empatia. Il cardine di tutto è sempre il trio, in questo caso formato da me, Olzer e Goloubev. Per dare un'idea, pensa che i brani sono stati tutti registrati in un paio di take. Poi, naturalmente le varie sovra incisioni, ma sempre con lo spirito di valorizzare la musica e di non cadere mai nell'autocelebrazione.-taglio2- Con Carlo Cantini in regia tutto è stato molto naturale, bello ed emozionante.” La composizione invece, come è avvenuto e quanto di ha impegnato? “Ci sono sempre anni di lavoro dietro un progetto simile. Ci sono periodi che mi sento ispirato e scrivo anche tutti i giorni, solitamente al mattino presto, e periodi in cui non scrivo nulla. L'idea di base nasce sempre da una suggestione che mi arriva mentre esploro la tastiera del pianoforte. Non ho regole, canoni, stili da rispettare o inseguire. L'unica cosa che conta è l'emozione e l'immagine che ne consegue. Butto giù un'idea che mi piace, poi l'ascolto, magari il giorno dopo a mente fresca, e successivamente aggiungo strumenti, sistemo dei passaggi armonici, provo soluzioni timbriche... Il tutto avviene nel tempo necessario, giorni, mesi. A volte mi viene di cambiare qualcosa in un brano che ho scritto anni prima. L'importante per me è tirare fuori la mia verità espressiva. Non devo scrivere per forza.” C'è un brano che reputi particolarmente carico di emozione? “Come dicevo prima, l'emozione è la colonna portante della mia scrittura. Se devo scegliere, in questo album Remembering ha certamente un significato particolare. Si tratta di un brano che ho dedicato a mio suocero, una persona molto speciale che mi ha dato tanto... Inizialmente descrivo un po’ quello che è il suo mondo e le immagini che conservo di lui (suonava il pianoforte). Poi il brano prende una svolta violenta e forte perché purtroppo è venuto a mancare in un incidente stradale.” Come collochi “Disillusion” all'interno del tuo percorso artistico? Un punto di arrivo e di partenza? “Nessuna delle due cose in realtà. Lo considero come una fotografia che rispecchia ciò che sono al momento in cui è stato realizzato. Sicuramente c'è una maturazione artistica rispetto al passato, ma assolutamente non è un punto di arrivo. Non c'è mai un punto di arrivo (per fortuna). Intendo la vita e la musica come ricerca e scoperte continue. E come diceva il grande Eduardo: gli esami non finiscono mai.”