Tra le nuvole
È l’astronauta italiana più famosa nel mondo, con la missione “Futura” ha fatto restare tutti col fiato sospeso, facendoci scoprire e capire le meraviglie dello spazio
È certo, ormai, che l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti è diventata nota non solo agli addetti ai lavori, ma anche al grande pubblico che ha sempre espresso molta ammirazione nei suoi confronti. A primo impatto, è inevitabile pensare che si tratti di una donna davvero speciale, che ha quella marcia in più che le ha permesso di realizzare i suoi sogni. Nel caso non lo sapeste, Samantha Cristoforetti è la prima astronauta italiana dell’Agenzia spaziale europea e capitano pilota dell’Aeronautica militare. Nei sette lunghi mesi passati nello spazio, percorrendo precisamente 28 mila chilometri orari nel cosmo, ben 574 mila follower si sono appassionati alla sua “avventura”, ed improvvisamente ha attirato l’attenzione di una nazione intera. Inoltre, la Cristoforetti, dopo aver messo nuovamente piede sulla terra, ha ricevuto i complimenti per l’ottimo lavoro svolto durante la missione “Futura” dall’Amministratore della Nasa Bolden. Il potere comunicativo di Samantha Cristoforetti è incredibile, e sono molti i bambini (soprattutto bambine) che da grandi dichiarano di voler essere come lei! In questa intervista ci ha raccontato com’è stato vedere il mondo da un’altra prospettiva.
Samantha, lei è ormai un esempio per molte giovani ragazze, che effetto le fa essere considerata una sorta di “eroina” moderna?
“Ne sono assolutamente entusiasta! Chi non lo sarebbe... certo, nella vita è possibile scegliere molteplici strade da percorrere, quindi non tutte diventeranno astronaute, ma spero affrontino tutto con la mia stessa passione e caparbietà.” -taglio-
Secondo lei, come mai ha avuto così tanto successo?
“Mah, forse perché rappresento un’idea diversa di carriera, che le bambine italiane non avevano così presente e che in alcune può far nascere un interesse, una passione o addirittura un sogno. Proprio com’è successo nel mio caso.”
Cosa non bisogna mai perdere di vista?
“L’impegno e lo studio. Sono elementi fondamentali, non basta credere fortemente in qualcosa per riuscire ad arrivare all’obiettivo finale. Si tratta di un impegno quotidiano, di fatica, ma l’importante è non abbattersi mai.”
Ormai è sulla terra ferra da un po’ di tempo, le manca qualcosa dello spazio?
“Fluttuare, ed avvertire quel senso di leggerezza assoluta che sa di libertà. Nella Stazione spaziale internazionale, capisci di possedere lo spazio in tutte e tre le sue dimensioni. È una cosa fantastica! Inoltre quando sei lì, vivi in un ambiente molto complesso, ma sei addestrato ad affrontare quella complessità. È come se la vita si riducesse a qualcosa di essenziale, lontano dai piccoli problemi quotidiani, come fare la spesa o affrontare il traffico. I primi giorni dopo il mio rientro, perfino pensare: ‘Adesso esco: che cosa metto nello zaino?’, richiedeva un grande sforzo. Era una cosa a cui non avevo pensato per sette mesi, vivendo sempre nello stesso posto e avendo tutto sotto mano.”
Parlando invece di emozioni, come si percepiscono lassù?
“Vivendo per tanto tempo a stretto contatto, mi sono stupita di come non si siano creati momenti di tensione. Forse, in alcuni momenti, possono essersi creati dei malintesi, ma siamo persone controllate dal punto di vista emotivo, senza eccessi, né in senso positivo, né negativo. In un ambiente come la Stazione spaziale ci si concentra consapevolmente sulle cose allegre, in modo che il tono dell’umore sia costruttivo. Le emozioni negative sono contagiose e cerchiamo di non alimentare la tristezza o le lamentele. Siamo addestrati a questo.”
Come mai ha deciso di essere così social nello spazio?
“Ad esser sincera, raccontare il mio adattamento nello spazio o descrivere le cose che mi stupivano era un modo per creare un diario. È stato qualcosa d’importante per me, poi è diventato anche un impegno nei confronti di chi mi ha seguito, ma non pensavo di avere un eco così forte.”
Com’è stato guardare il nostro pianeta da un’altra prospettiva?
“Dallo spazio, sembra che la Terra sia come un’astronave che ci tiene in vita e noi, tutta l’umanità, siamo il suo equipaggio. Non è diversa dalla Stazione spaziale: nessuno può tirarsi indietro e tutti devono rimboccarsi le maniche.”
Al momento, invece, cosa sta facendo?
“In questo momento sono al centro di addestramento base, dove mi occupo di due cose: la collaborazione con la Cina, nell’ottica di un suo ampliamento nel futuro prossimo, obbiettivo che mi impone di diventare abile alla comunicazione in lingua e nel più breve tempo possibile. E, come seconda attività, un monitoraggio a lungo termine delle tecnologie che possano aiutarci nelle future esplorazioni umane in ambiente cislunare, o sulla superficie del nostro satellite. In pratica si tratta di capire quali tecnologie e concetti operativi possiamo sviluppare con altri centri dell’Esa, altre realtà o istituzioni accademiche.”
Si parla tanto di andare su Marte, oppure sulla Luna. Cosa dobbiamo aspettarci?
“Sono convinta che si passerà quasi certamente dalla Luna. Sembrerà assurdo, ma è una cosa ragionevole: abbiamo bisogno di quello che chiamiamo un proving ground, un luogo molto più lontano della Stazione Spaziale Internazionale, ma molto più vicino di Marte, dove sviluppare, consolidare e validare operazioni e procedure. In questo momento, stiamo valutando l’ipotesi di costruire una stazione orbitante intorno alla Luna, dalla quale scendere sul satellite e realizzare strutture che permettano agli astronauti permanenze più lunghe dei pochi giorni delle missioni Apollo. Non escludo ci si possa riuscire già nel 2023. Solo dopo potremmo pensare di muoverci verso Marte. E in tutta onestà credo sia ottimistico arrivarci entro gli anni Trenta.”
Ascoltandola, sembra tutto così semplice, ma qual è la difficoltà dei viaggi spaziali?
“Senza ombra di dubbio l’addestramento. Non si tratta di affrontare chissà quale difficoltà nel quotidiano, però è un impegno di anni, che impone si mantenga alta e costante la concentrazione. Bisogna convivere con il fatto di essere osservati, testati e valutati in ogni momento. Occorre mantenere una performance superiore a certi standard per 24, anche 36 mesi. Sempre.”
“Rappresento un’idea diversa di carriera, che le bambine italiane non avevano così presente e che in alcune può far nascere un interesse, una passione o addirittura un sogno”