Uno spettacolo da non perdere andrà in scena tra qualche giorno al Teatro Elfo Puccini di Milano, sulla scena un incredibile Marco Vergani
Ritroviamo Marco Vergani, questa volta protagonista unico del monologo prodotto da Khora Teatro, con la regia di Vinicio Marchioni su un testo di Valentina Diana: “L’eternità dolcissima di Renato Cane”. Vergani è, appunto, Renato Cane il quale firma un contratto con il demonio per avere in cambio l’eternità. Storia decisamente particolare, alla quale non mancheranno momenti grotteschi e surreali. Si tratta di una scommessa per l’attore lombardo, che questa volta in scena dialoga direttamente con il pubblico rendendolo complice e partecipe. Con la sua intensa interpretazione Vergani ha colpito Angela Turner, come ci racconterà in questa intervista, la quale ha promosso la messa in scena dello spettacolo lo scorso settembre alla Casa Italiana Zerilli-Marimò, epicentro della cultura tricolore della New York University sotto la direzione di Stefano Albertini. È questo, un altro successo da aggiungere al curriculum di Marco Vergani che in teatro ha interpretato diversi ruoli e lavorato con i più grandi maestri della scena italiana: Sergio Fantoni, Barbara Nativi, Luca Ronconi, Giancarlo Cobelli, Giancarlo Nanni, Andrea De Rosa, Roberto Latini, Andree Ruth Shammah, Ferdinando Bruni e molti altri.
Come ti sei preparato per affrontare questo spettacolo? -taglio- “È la prima volta che faccio un monologo, e penso non sarà l’ultima! È stata un’esperienza molto galvanizzante. All’inizio ero abbastanza terrorizzato: un testo molto lungo, con diverse pagine da memorizzare e la difficoltà di dover interpretare e rendere il testo più coerente possibile. Quando reciti un monologo sei sì da solo sulla scena, ma ci sono delle persone che si dedicano a te e diventa così una responsabilità. Il regista ti da fiducia, Vinicio in questo caso, al quale io sono grato e che ha accettato la sfida di dirigermi, così anche la produzione che ha creduto nel progetto.” -taglio- Il protagonista scopre di avere pochi mesi di vita, da lì scaturiscono riflessioni sulla morte. Se lei si dovesse trovare nella stessa situazione, come reagirebbe?
“Faccio una premessa: non ho una religiosità spiccata, però mi posso definire filo-indiano nel senso che pratico yoga tutti i giorni, sono andato diverse volte in India, ed ho un rapporto con questa realtà particolare. Non sono così radicato nella materia, quindi penso riuscirei in qualche modo a relativizzare. Sono convinto del fatto che siamo di passaggio e che di conseguenza non sia ‘qua’ la fine. La morte è una rinascita, quindi nel momento in cui mi dovesse toccare da così vicino la considererei una possibilità per aprire una porta verso qualcos’altro. La morte ti porta verso qualcosa di inesplorato, non sappiamo cosa c’è oltre.”
Lo spettacolo, che è stato rappresentato con successo anche a New York, che esperienza è stata?
“Questo è stato un elemento che si è aggiunto, una sorpresa. Ho conosciuto Angela Turner ad una cena, era venuta da New York per vedere ‘Il giardino dei ciliegi’ e mi chiese cosa stessi facendo. Avevo appena iniziato le prove -taglio2- del monologo, così le ho mandato il video e dopo averlo visto mi ha invitato a New York per recitarlo. È stato bello, c’era un pubblico italo-americano, molti parlavano l’italiano, altri un po’ meno però è stato interessante perché alla fine dello spettacolo tutti avevano capito l’essenza del testo, si erano affezionati ad alcune parti e questo vuol dire che sei stato seguito.”
Le è mai capitato che un ruolo o uno spettacolo influenzasse la sua vita quotidiana?
“Quasi sempre! Ci sono, ovviamente, personaggi che hanno più attinenza con il tuo vissuto, altri di meno, però c’è sempre quella battuta, quella situazione che ti riporta al tuo presente. -taglio2- Parto sempre da me. Inizialmente era una cosa che mi turbava emotivamente, adesso un po’ meno, riesco a capire se sto entrando in acque torbide mentre sto recitando e tendo a fermarmi perché sono zone che vanno sfiorate, perché alla fine(forse) il pubblico non ha voglia di v edere le tue reali sofferenze. Il personaggio deve essere un mezzo per comunicare altre cose, non per parlare della tua sofferenza personale.”
Ha un sogno nel cassetto non ancora realizzato?
“Mica uno solo! Tanti testi che vorrei fare e tanti registi e attori con cui vorrei collaborare!”
Progetti futuri?
“Inizierò le prove di un Goldoni con Roberto Latini che debutterà a marzo al Piccolo Teatro; inoltre sto lavorando su un altro monologo su Giulio Regeni che affronta un tema davvero molto delicato e quindi bisogna capir bene come farlo partire. Non è facile, però ho lavorato sodo per scrivere questo testo e credo sia un buon lavoro.”