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Sperimentazione e rinnovamento

di Maresa Galli

Numero 254 - Ottobre 2024

“Road to Swingin’ Hop”, il nuovo album di Paolo Palopoli fonde swing e lindy hop nello stile raffinato del compositore


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Ha da poco pubblicato “Road to Swingin’ Hop” per Emme Record Label. Paolo Palopoli, decano e docente di chitarra jazz, compositore, autore di quattro libri didattici sulla sei corde, presenta sempre lavori discografici ispirati, eleganti, frutto dei suoi anni di esperienza e di live internazionali con diverse formazioni e di tanto studio. Il suo tocco è personale e virtuoso mai involuto, sempre armonioso e gradevole che accarezza l’ascolto. -taglio- Vanta collaborazioni con artisti del calibro di Scott Hamilton, Tom Kirkpatrick, Tony Monaco, Flavio Boltro, Wayne Tucker, e tanti altri. Come nasce “Road to Swingin’ Hop”? Qual è stata l’ispirazione? “Road to Swingin’ Hop è il mio nono disco da “leader”; ne ho pubblicati altri come co-leader, ospite. In quest’album c’è molta Parigi, con tutti brani originali composti da me, eccetto “La Foule” (A.Cabral/M.Rivgauchee) e “Kind of Be Bop” (A.Oberg). “Gitans”, che apre l’album, è dedicata alle danze gitane mentre “Balarm in 7”, è dedicata a Palermo, dove ho insegnato al Conservatorio, ed è il brano più etnico mentre “Zahir” è il più methenyano. “Afternoon In Blue”, grande swing, è un “contrafact” di “Afternoon in Paris”, jazz standard di John Lewis. Chiude il disco “My Kind Of Be Bop”, un tema be bop veloce, funambolico, scritto dal chitarrista Andreas Oberg, sulla struttura del celebre jazz standard “Cherokee”.
Il cd coniuga swing e Lindy Hop e attraversa il jazz europeo per approdare ai balli americani anni ’20/’30… “Si. Come dicevo, il mio viaggio musicale non può prescindere dal jazz francese di Django Reinhardt, pioniere del jazz manouche, per approdare al Lindy Hop, ballo nato negli anni ‘20/30 in America, ad Harlem, sulla musica delle grandi orchestre, passando per la musica balcanica fino all’elettroswing, miscelando jazz waltz e new musette con be bop e sonorità ECM. Delle dodici tracce del disco quattro sono cantate. -taglio2- L’album si avvale di Alessandra Vitagliano e Federica Cardone alla voce, Giovanni Mattaliano e Enrico Erriquez al clarinetto, Mauro Carpi al violino, Leonardo Ciraci alla fisarmonica, Ciro Riccardi alla tromba, Massimo Mercogliano al contrabasso, Domenico Benvenuto alla batteria e percussioni, Andrea Parente alla chitarra ritmica e Carlo Contocalakis ai cori e arrangiamenti insieme a me. Nell’album suonano musicisti di tutta Italia”. Hai suonato a New York e pubblicato album con musicisti americani… “Si, ho vissuto a New York e suonato con tanti musicisti americani; ho pubblicato il disco “Sounds of New York”, dedicato al compositore Jimmy Van Heusen, ho registrato “Painted Notes”, tra jazz e musica classica, con la flautista americana Isabella Arbace (2014 Full Heads). Con il duo Musicadea ho inciso “Move the Joy” (2014 Full Heads) e ancora, nel 2016, “Back from Gotham”. Di ritorno dalla Grande Mela, ho pubblicato “Songs from New York”, con Valentina Ranalli, Ben Paterson e Adam Pache”. Come trovi, da didatta, il livello del jazz italiano contemporaneo? “Tecnicamente il jazz italiano è cresciuto tantissimo. Dai Conservatori escono molti giovani preparati. Il jazz italiano è affermato a livello internazionale”. Dopo l’Abbazia di Farfa, incantevole borgo medievale dei monaci benedettini, di Fara in Sabina (RI), dove presenterai l’album? “All’Abbazia si è creata un’autentica magia, grazie al luogo ed alla partecipazione del pubblico. Il 15 novembre sarò in concerto all’America Hall, a Napoli”.





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