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Sigourney Weaver

di Tommaso Martinelli

Numero 239 - Aprile 2023

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Dichiarazione senza mezze misure quella della grande attrice, che racconta come cerchi sempre un “buon motivo per accettare un film”, facendolo poi diventare un capolavoro…


1.80 di fascino e temperamento condensati in un’interprete versatile di ruoli e generi. Dal tenente Ellen Ripley a caccia degli Alien sin dal 1979 - apripista per tutte le eroine che si succederanno di lì a poco nei grandi Blockbuster hollywoodiani - al toccante biopic sulla zoologa Dian Fossey in “Gorilla nella nebbia” (1988) passando per la splendida Dana Barrett in “Ghostbusters – Acchiappafantasmi” (1984), -taglio- Sigourney Weaver si è imposta nel corso della sua carriera ultraquarantennale come una delle interpreti più rispettate in ambito internazionale, conquistando anche due Golden Globe e tre nomination agli Oscar. Prima di sbarcare sul grande schermo, lo scorso dicembre, con “Avatar - La via dell'acqua”, l’attrice è stata tra le protagoniste dell’ultima Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia dove ha presentato in anteprima fuori concorso “Master Gardener” di Paul Schrader che segna il culmine di un trittico di film iniziato con “First Reformed – La creazione” (2017) e “Il collezionista di carte” (2021). Nella pellicola Sigourney interpreta Norma, una ricca vedova alle prese con il suo giardiniere Narvel, interpretato da Joel Edgerton. Quando la donna gli chiede di assumere la sua capricciosa e inquieta pronipote Maya come apprendista, il caos entra nella spartana esistenza di Narvel… Sigourney, come nasce il tuo coinvolgimento in questo progetto? “Ho letto la sceneggiatura pochi giorni prima di incontrare Paul (il regista Paul Schrader, ndr) ed è stata una rivelazione. Era diversa da qualsiasi altra sceneggiatura che avessi mai letto prima perché aveva una struttura verticale. Mi spiego meglio: sembrava molto semplice sulla superficie ma con la profondità di una passione che è molto particolare in questa storia. Ho sempre ammirato il lavoro di Paul ma non avevo mai sognato di poter lavorare con lui. Ho amato molto il mio ruolo: anzi, credo che quello di Norma sia uno dei personaggi più belli che io abbia mai interpretato.” La metafora del giardino è presente sin dall’inizio e continua per tutto il film… “Mi ha sempre colpito una frase di questo film: ‘Il giardinaggio significa credere nel futuro’. Sin dalla prima volta che l’ho letta ho pensato che questa fosse un’illuminazione all’interno della sceneggiatura. L’idea che le cose debbano essere distrutte per poter crescere, trovo sia stato un inizio fantastico per questa storia in cui la vita sembra contenuta e controllabile, anche se ci si aspetta sempre che qualcosa sia di ostacolo. E per questo un ruolo fondamentale lo ha il personaggio di Maya (interpretata da Quintessa Swindell, ndr). Quale pensi sia il segreto della tua lunga carriera cinematografica? “Se ripenso agli inizi, volevo essere un’attrice e fare teatro, far parte di una compagnia teatrale che mi permettesse di recitare con ruoli grandi o piccoli – in drammi o commedie. Ho cercato sempre la “struttura” all’interno dell'industria cinematografica: le storie raccontate nei film devono colpire il mio interesse. Ad esempio per me ‘Ghostbusters’ è un fantasy, una storia di fantasmi. Negli ultimi anni si tende si tende a far rientrare tutto nella fantascienza, un genere molto sofisticato soprattutto per i giovani: è lì che si fanno le grandi domande sull’esistenza. Dove stiamo andiamo come specie e come pianeta? Cosa sta succedendo? In America abbiamo grandi scrittori di fantascienza.” Hai lavorato con grandi registi: con chi si sei trovata meglio? “Ho avuto la fortuna di essere diretta da molti registi meravigliosi, tutti diversi tra loro e di conseguenza con ognuno ho avuto un’esperienza professionale differente. Ho sentito molto vicino James Cameron (‘Aliens - Scontro finale’, ‘Avatar’ e ‘Avatar - La via dell'acqua’, ndr) forse perché aveva intuito in che modo potevo lavorare. Sorprendente è stata anche l’esperienza con Ang Lee in ‘Tempesta di ghiaccio’: ci guardavamo, non abbiamo mai parlato ma bastava che ci guardassimo per sapere cosa dovevo o non dovevo fare.” Ti piacerebbe essere diretta da un regista italiano? “Sappiamo tutti l’importanza del cinema italiano. Ho conosciuto Luca Guadagnino e mi ha chiesto di lavorare in un paio di suoi film: uno, però, non l’ha mai girato mentre l'altro non ho potuto farlo.” Tuo padre era un produttore televisivo e tua madre un’attrice (Sylvester "Pat" Weaver ed Elizabeth Inglis, ndr): che consigli ti hanno dato? “L’amore per il cinema lo devo proprio a mio padre, che mi ha fatto conoscere questo ambiente sin da bambina. Quando rientrava a casa dal lavoro mi accorgevo che la giornata era andata bene, che si era divertito ed era felice. Mia madre, invece, non parlava mai della sua carriera: abbandonò il lavoro quando sposò mio padre e penso sia stato molto difficile per lei. Non l'ha mai superata questa cosa e mi parlava sempre di una Hollywood negativa: mi diceva di non andarci perché avrebbero cercato solo di portarmi a letto.” A proposito di molestie, cosa pensi abbia cambiato il movimento #MeToo? “Era ora che le cose cambiassero: quel movimento è stato un passo fondamentale nella lotta per l'uguaglianza sul luogo di lavoro. Queste donne coraggiose si sono fatte avanti e hanno iniziato una rivoluzione. D’altro canto penso che l'ambiente cinematografico - almeno quello che conosco io, fatto di troupe, attori e registi - voleva questo cambiamento, che ci fosse più inclusività e più diversificate le presenze sia per gli uomini e per la donne. Certo non abbiamo ancora l'uguaglianza nella Costituzione e abbiamo ancora tanto da fare ma è stato uno splendido inizio. Era l'ora che accadesse.”

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