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Sempre un grande “Outsider”

di Antonino Ianniello

Numero 254 - Ottobre 2024

Non smette di stupirci il talentuoso Bruno Graziosi ed il suo jazz quartet. Ne scopriamo qualcosa in più…


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Finalmente è sul mercato discografico il primo lavoro di Bruno Graziosi in 4tet. Il disco (‘Outsider’) del trentacinquenne bassista, contrabbassista e compositore pescarese risulta essere, sin dal primo ascolto, gradevolissimo perchè mostra la tendenza verso un sound sfacciatamente fusion. Inoltre fa capire di essere un lavoro da collezione. -taglio- Certo, la terra d’Abruzzo dimostra essere una generosa area ricca di jazzisti. Il lavoro di cui parliamo, denominato ‘Outsider’, è stato realizzato, nel corso di quest’anno, per la label ‘Wow Records’ (missato e masterizzato al ‘Bess Recording Studio’ di Montesilvano (Pescara) e viene distribuito dalla stessa etichetta. Negli otto brani che costituiscono la track-list, si passa da risonanze tipiche del contemporary jazz al funky-soul per poi diventare una sola anima in una fusion autentica. Nel disco, ad accompagnare il leader Graziosi, autore dei brani, vi sono importanti musicisti del calibro di Andrea Conti (chitarra), Fabiano Di Dio (pianoforte e Rhodes piano) ed Andrea Ciaccio (batterista dal groove significativo). Il musicista pescarese dopo essersi diplomato al Conservatorio della sua città, il ‘Luisa d’Annunzio’ e sotto la guida di Giancarlo De Frenza si laurea poi presso Conservatorio ‘Giovanni Battista Pergolesi’ di Fermo, guidato da Gabriele Pesaresi. Il contrabbassista partecipa a prestigiose manifestazioni. Tiene masterclass e workshop e si fa notare in quotati club jazz d’Europa … nel 2023, ad Orvieto, ha l’onore di rappresentare la ‘Berklee Clinics’ di Perugia durante il concerto di apertura di ‘Umbria Winter Jazz’. ‘Outsider’, d’impatto, rappresenta un interessante nome. Come nasce il progetto in 4tet ‘Outsider? Ha qualche significato il nome del tuo nuovo album? «Il progetto nasce dalla voglia di esprimermi e pubblicare un album da leader, i brani sono costituiti da composizioni originali, nate nel corso del tempo e non destinate ed un disco specifico … tranne il brano Outsider che dà il titolo all’album. Il disco viene fuori da brani che ho messo da parte e poi insieme che potessero rappresentare i miei stili musicali. All’interno del lavoro, dunque, troviamo brani funk poi passo al contemporary jazz fino spingermi a momenti di free jazz e contrabbasso solo. Il nome dell’album rappresenta proprio me … nel senso che quando un musicista lavora in vari ‘ambienti’ e generi musicali non viene mai considerato parte della scena ma sempre considerato … come dire … un musicista ‘fuori dal coro’ e quindi un outsider.» Numerose , poi, sono state anche le sue esibizioni nella musica classica: nel 2018, infatti, Graziosi è protagonista all’ ‘International Sommerakademie Mozarteum’ di Salisburgo … laddove si tengono, da docenti dell’Università Mozarteum e da artisti selezionati di fama internazionale, oltre 80 masterclass all’anno frequentate da 800–1000 giovani musicisti provenienti da tutto il mondo. È stato spalla di direttori e solisti come il trombettista Sergei Nakariakov, il violinista Yury Revich, il soprano Kristin Lewis oltre ad essere stato presente, da turnista, in vari dischi di famosi musicisti. Ciò pone Bruno Graziosi tra gli artisti che hanno portato l’Abruzzo alla giusta ribalta internazionale. Come nasce la tua passione per il jazz e quale significato dai a questo genere? «Mi sono appassionato al jazz grazie al fatto che i miei familiari ascoltavano molta musica, soprattutto jazz. Mio padre e mio zio mi hanno avvicinato a questo genere. Ricordo, infatti, mio padre -appassionato di batteria- ascoltava molta jazz fusion: Billy Cobham, le produzioni della grande GRP Records. Mio zio ascolta ancora il jazz tradizionale come Coltrane, Mingus ed altri. Per me il jazz rappresenta la libertà che un musicista ha nell’esprimersi ed interagire con gli altri membri della formazione. -taglio2-Raccontando la propria storia con il proprio stile personale, originale e che lo rappresenti. In pratica possiamo dire: essere liberi di esprimere i propri contenuti musicali.» Appare particolare che un jazzista provenga da un background di musica classica. «In effetti, non tutti i musicisti che hanno studiato classica poi fanno anche jazz o viceversa». Quali sono gli artisti del quattro corde che ti hanno in qualche modo influenzato? «Posso dire il primo ad influenzarmi ed a crearmi un varco è stato il magico Marcus Miller. Il bassista americano mi ha fatto innamorare del jazz sia per quanto riguarda la tecnica e l’utilizzo del basso nei brani e soprattutto per quanto riguarda il suo stile compositivo … mescolando sonorità funk con quelle jazz, cosa che cerco di fare nei miei brani. Poi c’è il grandioso Charlie Mingus che mi è stato d’esempio per come essere un ‘band leader’ e come possano essere portate avanti le idee musicali. Altri bassisti e contrabbassisti sono stati il norvegese Arild Andersen. Il suo suono, oltre all’utilizzo degli effetti sul contrabbasso mi hanno ispirato molto aprendomi un nuovo modo di ricerche sonore con la combinazione di vari effetti. Sono stato ispirato da diversi bassisti che hanno sonorità e idee compositive completamente diverse tra loro. In questo modo ho trovato una mia sonorità originale.» Raccontaci qualche aneddoto della tua giovane carriera. «Ho una carriera che spazia in vari generi: dalla classica al jazz e quindi ho vissuto esperienze in diverse situazioni dall’orchestra alle band. Un aneddoto che mi piace ricordare è un viaggio con da Salisburgo a Skive in Danimarca con il camioncino, insieme al direttore d’orchestra. Con noi avevamo anche gli strumenti. È stato un viaggio particolare e molto divertente, anche diverso … non avevo mai guidato un mezzo così attraversando, poi, gran parte dell’Europa. Ma la musica porta anche belle esperienze che non hanno a che fare direttamente con le performaces. Per parlare del quartetto, devo dire che ho scelto questa formazione perché con loro ho iniziato a suonare jazz e a formare un primo progetto, poi nel tempo ognuno ha preso direzioni diverse in vari generi musicali ma per il mio primo album ho voluto chiamare loro. Sapevo di ottenere il sound giusto per questo mio primo disco. Anche grazie a loro i brani hanno una sonorità unica, lasciando loro lo spazio per essere loro stessi ed esprimere al meglio l’istinto, le idee e sonorità.» Il disco sta riscuotendo consensi … ma qual è la cosa che intendi trasmettere con i tuoi brani all’ascoltatore? «Con i miei brani vorrei provare a coinvolgere più ascoltatori possibile: sia chi ascolta jazz e non. I miei brani hanno vari caratteri, ve ne sono alcuni più ricercati dove tento di trasmettere emozioni più profonde tese alla riflessione … mentre poi ci sono brani più … li definirei ‘saltellanti’ e che sgombrano la mente dalle riflessioni. In definitiva penso che la musica prescinda dagli stereotipi se i musicisti che ti accompagnano riescono a trasmettere leggerezza e positività … mentre per il brano che dà il nome all’album (Outsider), spero arrivi la voglia di sperimentare ed osare. In pratica il disco è un viaggio di emozioni tra i vari brani che posso accompagnare i momenti quotidiani delle persone.»





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