Continuare a migliorarsi
La regista e attrice ci svela la genesi ed il concept dietro la sua seconda opera cinematografica “Katabasis”
Con la sua opera prima, “Santa Guerra”, Samantha Casella ha ottenuto centinaia di premi a livello nazionale ed internazionale, e quindi grandi erano le aspettative per la sua seconda opera che ha pienamente ripagato. Il suo secondo film, “Katabasis”, da lei diretto ma anche interpretato, dopo essere stato applaudito all’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia, ha davvero convinto pubblico e critica. Merito del suo talento e poliedricità, oltre che della sua visione dietro la macchina da presa, di cui parliamo con lei in esclusiva per i nostri lettori.-taglio- Samanta, come nasce il film Katabasis? “Il tema di Katabasis è l’abuso. La protagonista del film è reduce da un abuso infantile che l’ha segnata al punto da renderla una donna indecifrabile, ambigua, manipolatoria, a sua volta abusante, alla continua ricerca di situazioni torbide affinché possa rivivere la sola condizione che ha assimilato nel profondo: il dolore. Non mi interessava mostrare una donna vittima, volevo esplorare l’oscurità che può prendere forma nella mente di una donna disposta a tutto per sopravvivere. Tutto ciò si va a scontrare con tutti gli altri personaggi, alcuni a loro volta abusati ed abusanti.” Come ti sei trovata con il cast? “Oltre a essere attori splendidi ho trovato persone dotate di una forte umanità. Per me basilari sono i volti e quando mi hanno presentato Francesco Leone e Vanessa Marini, ho pensato fossero esattamente i personaggi che avevo scritto. Francesco ha un grande talento: abbiamo diviso il set in tante scene, alcune tutt’altro che semplici da affrontare, ma lui ha sempre trovato la chiave interpretativa giusta. Quanto a Vanessa, mi disse che era felice di potersi cimentare in un ruolo drammatico: ne esce in modo eccelso; d’altronde ha un volto “da Medea”. La professionalità di Bruno Bilotta e Jacopo Olmo Antinori è risaputa e sono stati veri e propri valori aggiunti. Con Marina Rocco, Roberto Rizzoni, Marco Iannitello e Matteo Fiori, avevo lavorato in passato quindi è stato tutto molto fluido. Ci sono poi due giovanissimi: Reyson Grumelli e Giuditta Corsi, credo si sentirà parlare di loro.” Ci racconti un aneddoto, quello che più ti ha colpito, legato alle riprese? “Ce ne sarebbero molti… Io sono stata legata per giorni, mi è stata versata cera addosso, in post produzione sono state contati tra varie scene 78 ciak in cui vengo afferrata al collo… Non è stato semplice… Ma la cosa che più mi ha colpita è stata una scena in cui Vanessa Marini doveva lasciarsi cadere a terra: per esigenze di inquadrature era in piedi in uno sgabello e si è letteralmente lasciata cadere rischiando di farsi male!” In tempi record il film ha già ottenuto diversi premi internazionali. Che effetto ti fa? “Credo che vincere sia sempre molto gratificante, ma i premi devono andare di pari passo con il desiderio di migliorarsi. Ecco, vincere dei premi può significare da una parte essere sulla strada giusta, ma dall’altra è basilare non disunirsi e continuare a guardare avanti, possibilmente sempre più in alto.” Quale vorresti fosse il prossimo step della tua carriera? “Vorrei chiudere il cerchio della mia personale trilogia del subconscio iniziata con “Santa Guerra” e proseguita con “Katabasis”. Ci sarebbe anche un altro film, un thriller con risvolti horror per cui occorre un budget alto a presumo più produzioni che collaborino. Sto anche scrivendo una serie tv. Di certo a breve ci sarà un video-arte su William Blake e un video per una collettiva che coinvolge registi da tutto il mondo. Ma la mia ossessione rimane quella di migliorarmi.”