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Ricordando Lucia

di Pasquale Matrone

Numero 259 - Aprile 2025

Il ricordo del Prof. Pasquale Matrone della nostra Fondatrice e storico Direttore Lucia de Cristofaro a quasi due anni dalla scomparsa. Poetessa, romanziera, giornalista e docente, aperta sempre all’innovazione e alla sperimentazione


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Ho conosciuto Lucia de Cristofaro nel 2003, a Pompei. Il giornalista e poeta Luigi Pumpo mi aveva a lungo parlato di lei: “Donna coraggiosa, innamorata della scrittura e della comunicazione, ha fondato nel 2000 la rivista “Albatros”, bella nella sua veste grafica e aperta alla cultura, locale, nazionale e internazionale”.



Coraggiosa e determinata. Perché, pur essendo impegnata, con passione e competenza, a svolgere il suo lavoro di maestra elementare di ruolo, era convinta che una rivista nata al Sud, e con precisione a Scafati, nella provincia salernitana, sarebbe stata stimolatrice di crescita sociale, civile, morale e culturale, diventando una sorta di osservatorio sulla realtà di una terra operosa, ricca di valori e, nel contempo, continuamente esposta a derive alimentate da residui venefici di pregiudizi arcaici e da ignoranza… Competere con i grandi gruppi editoriali, dalle spalle solide e dalle firme prestigiose, è impresa donchisciottesca. I più sono convinti che si tratti di un’iniziativa velleitaria. Non conoscono a fondo Lucia, che è sì una sognatrice, ma è anche una donna con i piedi ben piantati sulla terra, aperta alle nuove tecnologie, con lo sguardo attento al futuro e a quanto già realizzato nel settore specifico. Il problema più grande è quello della distribuzione: costi insostenibili per un’azienda che si mantiene con la pubblicità offerta a industriali della regione Campania, del salernitano, soprattutto. Il giornale, comunque, arriva nelle edicole, grazie alla buona volontà e alla fatica della fondatrice e dei suoi collaboratori, nonostante l’accoglienza tiepida di edicolanti impegnati a divulgare riviste già note e diffuse attraverso una rete capillare e costosa. La de Cristofaro è una trascinatrice: coinvolge un nutrito gruppo d’intellettuali che hanno subito capito e condiviso lo scopo e gli orizzonti della rivista. Albatros, grazie agli abbonamenti, sia pure a fatica, spicca il volo. Conta, ora, abbonati in Italia e all’estero ed è ad oggi l’unico magazine in lingua italiana distribuito in tutto il mondo. Accanto alla rivista nasce e fiorisce anche una piccola casa editrice il cui catalogo, nel corso degli anni, diventa sempre più corposo e variegato. “Albatros Edizioni” è, sin dai primi anni, presente con un suo stand al Salone del Libro di Torino e in altre manifestazioni dello stesso tipo ospitate in Italia ed allì’estero. Lucia si dedica al giornale, tiene conferenze, scrive poesie e romanzi, vince concorsi letterari, organizza eventi, coinvolgendo politici, artisti prestigiosi, autorità e personalità varie. Pubblica numerosi romanzi e raccolte di poesie, tra cui: “Il tempio della vanità”, “Storie di fine millennio”, “La luce del giorno”, L’impronta della verità, con la prefazione di Johan Galtung (sociologo e matematico norvegese, fondatore nel 1959 del Peace Research Institute Oslo e Premio A. Nobel per la Pace), “Inganni”, “La doppia vita di Rosalin”, “Venere allo specchio”, “L’Ottavo giorno”, “Il Capolavoro” (anche questo con la prefazione del Prof. Galtung), e la silloge poetica “Quattro pensieri diversi”. Quella della de Cristofaro è un’attività ininterrotta, febbrile, mirata a esplorare la realtà e la vita in tutte le sue dimensioni, allo scopo di coglierne senso, anomalie, esigenze, potenziale. Non è curiosità sterile, la sua; è, al contrario, voglia di capire, per misurarsi con un contesto in cui intende agire, accanto, con e per gli altri: vuole fare la sua parte, contribuire allo sviluppo e alla crescita collettiva. Tensione etica e impegno civile sono due elementi fondamentali della sua visione del mondo nonché il suo viatico dichiarato d’intellettuale e di donna. La passione per la scrittura di Lucia ha radici profonde: una sola vita non le basta. Ha voglia di: pareggiare conti che non tornano; mettere ordine nelle proprie idee e nel proprio vissuto; denudare la propria anima, davanti al foglio bianco, senza il timore sempre incombente di essere fraintesa. Scrive. Ma è anche, e innanzitutto, una lettrice assidua di autori italiani e stranieri, classici e moderni, antichi e contemporanei. E, da artigiana delle parole, ama avventurarsi nei vari linguaggi della letteratura per afferrarne i segreti, esercitarsi a usarne strutture, strategie, novità… Si confronta con “generi” diversi, continua a studiare… Tutti i suoi romanzi nascondono altro sotto la superficie. A darne prova esemplare i “gialli”: “Venere allo specchio” e “La doppia vita di Rosalin”. In questi ultimi anni, purtroppo, per esigenze di mercato e a danno della qualità letteraria, si stanno affermando sempre di più, giallo e noir, con libri ripetitivi per contenuti, trama e linguaggio e in cui abbondano: delitti efferati, atmosfere sinistre, sangue, ostentazione oscena di dolore e morte… In “Venere allo specchio”, la de Cristofaro percorre sentieri diversi: c’è un cadavere, ci sono sospettati e moventi, ma si capisce subito che si tratta di elementi marginali, espedienti utili a celare tematiche e problemi dagli orizzonti più ampi. Difficile parlare di un “giallo” senza cadere nella trappola di svelare, sia pure attraverso l’involontaria indicazione di un dettaglio all’apparenza insignificante, fatti o particolari che rischierebbero di togliere al lettore il gusto di scoprire la soluzione dell’enigma. E allora, a testimoniare la bravura dell’autrice, basterà sottolineare soltanto che, sin da quando affronta la prima pagina di questo romanzo, chi legge non riesce più a fare a meno di procedere, all’inizio preso da mera curiosità e poi, in un crescendo che non consente pause, sempre più catturato da una tensione narrativa capace d’ inchiodarlo e di costringerlo ad andare sino in fondo. All’interno della vicenda principale dei romanzi della de Cristofaro, si muovono trasversalmente, ma sempre in sintonia perfetta tra loro e con il tema di fondo, altre storie, tutte funzionali e indispensabili all’economia generale di un contesto ben costruito nelle singole parti che, strettamente legate tra loro, ne costituiscono la solida, organica e convincente impalcatura. Il romanzo è ambientato a Napoli, Via Chiatamone, in un antico palazzo nobiliare dove l’intera vicenda si consuma e si svolge in un brevissimo arco di tempo: un urlo nella notte; la morte tragica e misteriosa del conte Don Rodrigo Velasquez, un uomo slanciato e nient’affatto appesantito dagli anni, innamorato della bellezza e dell’arte; una governante dal passato malinconico e torbido; un quadro, Venere allo specchio: uno splendido nudo di donna sparito nel nulla; un portinaio che soffre d’insonnia;

un medico dalla moglie insoddisfatta e inquieta; un giornalista la cui consorte “traffica” in opere d’arte e per il quale la morte diventa un evento da sfruttare; un fotografo disonesto; un fazzoletto trovato sul luogo del delitto e sottratto agli inquirenti; una scia di profumo; il maresciallo Fortunati del Commissariato di Santa Lucia; due amanti sorpresi nel buio dalla moglie del portinaio; un pianista fedifrago; un testamento; una violinista sensibile e assetata di amore… In un’enumerazione volutamente distaccata, emergono, oggetti, ambienti e personaggi di una recita che ha per suo palcoscenico l’appartamento e lo studio austero e raffinato della vittima: libreria in legno scuro, incorniciata da preziosi intarsi, le sedie dallo schienale alto, tappezzate con morbido velluto verde; le scale buie e gli interni sconosciuti di un condominio; e, in lontananza, come sfondo impregnato di cielo, di mare e di luce, lo storico Castel dell’Ovo, sull’isolotto di Megaride, e una Napoli che, anche sotto la pioggia, appare imponente nella sua bellezza. La stessa filosofia attraversa il romanzo “La doppia vita di Rosalin”. Gli esseri umani, imprigionati negli schemi ripetitivi e incolori di una “forma” asservita alle regole della società, si muovono a fatica e in solitudine: strumenti di un ingranaggio i cui ritmi nulla concedono al sogno e alla libertà. È quello di cui prende coscienza, all’improvviso, la bella, intelligente e malinconica Rosalin, la protagonista: i figli, il marito, la madre, il lavoro, gli impegni, le responsabilità... La routine le tarpa le ali, le impedisce di fare progetti, ne frustra la voglia intensa e inappagata di dedicarsi alla scrittura, facendola piombare nella depressione tipica degli artisti impossibilitati a esprimere sino in fondo le emozioni del loro animo. La società, che ha santificato l’avere e ha scelto di contentarsi di una morale solo di facciata, incombe su di lei, minacciosa: la piegherà, prima o poi… Rosalin, invece, non si lascia domare: sceglie di avere una doppia esistenza, procurandosi un rifugio adatto a proteggerne l’identità di donna non disposta a farsi ingoiare dal vuoto abissale della disperazione: riesce ad avere “una stanza tutta per sé”, un luogo segreto che consentirà al suo io più vero di mettere a frutto le sue risorse di persona che, da sempre, avverte la sensazione di non essere capace di farsi comprendere e di mettersi in comunicazione con gli altri… Ma è proprio a questo punto che le cose si complicano. Nella sua nuova dimensione, l’aspirante scrittrice si trova coinvolta in una vicenda misteriosa: protagonista inconsapevole, e tuttavia importante, di eventi che si tingono di giallo e in virtù dei quali, in un “clima” quasi pirandelliano, fa esperienza diretta di quanto sia difficile vivere due vite: dal momento che la realtà è una sola e che, per ritessere il proprio rapporto con il mondo, occorre essere pronti ad assumersi la responsabilità di scelte irreversibili e dolorose. Lucia de Cristofaro, muovendosi con disinvoltura ai margini di generi letterari diversi, dai quali tuttavia mai risulta condizionata, riesce, con una prosa agile e immediata, a raggiungere il suo obbiettivo. Che, in perfetta sintonia e continuità con le sue precedenti opere, è quello di raccontare le inquietudini, la sofferenza e la fragilità del singolo nei confronti di un mondo sempre più aggressivo e di un destino il cui significato appare sempre più oscuro e incomprensibile. Al di là della lucida e amara constatazione dei fatti, comunque, il romanzo è sorretto da una visione del mondo che mai si piega allo sconforto. L’autrice ne è convinta: la scrittura è un’arma potente e gli artisti sono una risorsa preziosa. Insieme sapranno ridisegnare, in maniera inequivocabile e coraggiosa, i confini tra menzogna e verità, avere ed essere, realtà desolata e sogno ricco di luce. Come sempre, la scrittrice si serve della vicenda per dire altro. Usa un tono antiretorico, lievemente ironico e, soprattutto, il linguaggio sobrio e dignitoso di uno sfogo sofferto, anziché quello di un’accusa, per dire molto di più. A livello metanarrativo, in realtà, emergono chiari e forti i temi dominanti delle sue storie: l’eterna e interminabile lotta tra verità e menzogna; l’ipocrisia; la solitudine; la sete di amore; lo squallore di una quotidianità fatta di compromessi e di bugie; la voglia di vivere imprigionata da regole fittizie, intrighi, perversioni, verità soffocate, imposture, angoscia… Visione lucida e amara, la sua. E, tuttavia, mai disperata. Nel libro, infatti, in piena coerenza con il significato che l’autrice ama attribuire al ruolo e alla funzione della scrittura, accanto al sapore aspro generato dalla percezione delle miserie di un’umanità piagata e dolente, è presente e viva anche l’inebriante, e tuttavia mai mielosa gioia generata da una congenita vocazione a leggere il mondo con lo sguardo proteso a coglierne anche, e soprattutto, sogni e speranze. La filosofia, che anima le opere di quest’autrice piena di vitalità e di cose da narrare, si svela, limpida, nei suoi scritti: “La creatività, la sensibilità, la capacità di vedere il mondo con occhi diversi è un dono…”; “I sogni sono una parte importante della nostra vita, guai a farli imputridire dentro di noi, rassegnandoci al nostro destino…”. Diverse, variopinte, icastiche e funzionali le tessere del mosaico, che rappresenta il “corpo” suggestivo e agile dei romanzi di Lucia de Cristofaro, sono tenute insieme da un collante forte che non lascia dubbi sullo spessore culturale e umano di una narratrice capace di incantare e di coinvolgere i lettori con una prosa lineare, libera da “pesantezza” e soprattutto destinata a conquistare le simpatie e il consenso di un pubblico sempre più numeroso.



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