La Roma classica è stata un esempio di ripresa e di rinnovamento
Ormai l’estate si sta chiudendo con qualche strascico drammatico per i nubifragi che si sono verificati. Il generale Inverno si sta avvicinando con tutte le incognite del caso: aumento delle bollette (non sappiamo se ci saranno interventi risolutivi del futuro governo), strascichi di Covid (non sappiamo di che entità), guerra (non sappiamo intravederne la fine). -taglio- Quest’anno cosa accadrà? Tornerà tutto “alla normalità” o dovremo ancora parlare di emergenze varie? E, soprattutto, il nuovo Parlamento saprà affrontare l’emergenza come sarà richiesto dalla situazione? Dobbiamo “reinventarci”, nel senso di riscrivere alcune regole del “con-vivere” (per riprendere il titolo di una conferenza del semiologo Roland Barthes), da intendere come “retto vivere insieme”.
Già i primi filosofi greci avevano intuito questa costante dell’azione e del pensiero degli uomini, che sono sempre tesi al desiderio di “reinventarsi”. L’archè, cioè il principio primo della vita, secondo Talete, era l’acqua, il simbolo per eccellenza del cambiamento. Ed anche della Vita stessa, dal momento che, prima di venire al mondo, tutti viviamo nel liquido amniotico del ventre di nostra madre. Fu Eraclito poi che coniò il famoso aforisma “Tutto scorre”: pensare alla stasi, per lui, significava ipotizzare la sclerosi di ogni elemento vitale.
Ma fu l’antica Roma con la sua civiltà e i suoi intellettuali ad esaltare la cultura del cambiamento-reinvenzione. Innanzitutto un cambiamento politico. Quella romana fu la società più aperta alle sperimentazioni istituzionali: dalla monarchia alla repubblica all’impero. Roma nacque, lungo le rive del Tevere, come un villaggio di rozzi contadini, che, però, si aprì agli altri popoli. Galli, Italici, Cartaginesi: Roma li sconfisse tutti, ma assunse molti dei loro codici culturali.-taglio2-
Dagli Etruschi e dai Greci, invece, Roma importò miti e riti. Dopo le Guerre Puniche Roma cambiò ancora, diventando una potenza commerciale e allevando nel suo seno una forte classe di “uomini nuovi”, che corrisponde alla moderna borghesia imprenditoriale. “La Grecia, conquistata da Roma -scrisse Orazio nelle sue “Epistole” (II, 156)- conquistò il feroce vincitore”. Roma, dunque, che aveva vinto militarmente la Grecia, si era lasciata vincere da essa, riprendendo dalla cultura greca i modelli letterari, filosofici e teatrali.
Il vocabolo “cambiamento”, che, non a caso, i Latini chiamavano con un termine greco (“metamorfosi”), diventò la parola-chiave della cultura romana. Soprattutto nell’epoca del Cristianesimo. Allorquando il Figlio di Dio, ma al tempo stesso Figlio dell’Uomo (Cielo e Terra in Lui si univano per la prima volta), morì sulla Croce, fu sancita la possibilità per l’uomo di salvarsi nell’Aldiquà (nel foro della propria coscienza) e nell’Aldilà (nel Paradiso dei Giusti). In cui finalmente venivano accolti non coloro che erano fisicamente ricchi e potenti, ma coloro che “erano poveri in spirito”. Se questi Valori trionfassero tradotti anche laicamente nella nostra società, forse quest’ultima potrebbe salvarsi.