Giovani, “ribelli”, sono sempre di meno, con troppi che invece si sentono protetti da uno schermo (computer, smartphone o consolle che sia) che li rende dipendenti e che in nessun modo genera in loro la “necessità” di uscire dal guscio, rompere la gabbia, mandare tutti a quel paese e provare a vivere la vita commettendo quei sacrosanti milioni di errori
Forse una cosa che, col passare dei decenni, delle mode, delle generazioni e delle tematiche, possiamo dire non sia sostanzialmente stata sottoposta al benché minimo cambiamento è l’insofferenza dei giovani dinanzi a quella che, a torto o ragione, può essere denominata come “l’autorità precostituita”. -taglio-Per prima viene quella dei genitori, a cui col tempo si aggiunge quella degli insegnanti, dei datori di lavoro, dei suoceri, delle forze dell’ordine, dei colleghi più anziani, e chi più ne ha più ne metta. Forse proprio perché ne sono a ben guardare circondati, i teenager – o almeno quelli più sfrontati e intraprendenti – alla fine decidono di “fare di testa loro” e mandare a quel paese tutto e tutti. Non c’è bisogno di tirare in ballo il ’68, Woodstock, i figli dei fiori, la Gen Z e categorizzazioni o eventi spartiacque vari, il fenomeno è insito in quella sana e affascinante ribellione che caratterizza il passaggio dall’età fanciullesca a quella sfaccettata dell’adolescenza, o meglio “Complicated” per dirla alla Avril Lavigne. Ebbene, cosa c’è di nuovo? Che nell’ultimo periodo questo fenomeno antico e reiterato ha tuttavia sviluppato una nuova “evoluzione”: la sua contagiosità. Il “vaffa”, il “vi odio tutti”, “nessuno mi capisce”, “lasciatemi stare”, rappresentava l’universo delle camerette di ragazzi e ragazze un po’ in tutto il mondo, in un’unione di sentimento che, alla fine, ci faceva anche sentire un po’ tutti più vicini e accomunati. Oggi invece, come purtroppo troppo cose dei nostri giorni, tutte queste dinamiche sono stravolte e arrivate a derive davvero improbabili. Riguardo i giovani, infatti, i “ribelli” sono sempre di meno, con troppi che invece si sentono protetti da uno schermo (computer, smartphone o consolle che sia) che li rende dipendenti e che in nessun modo genera in loro la “necessità” di uscire dal guscio, rompere la gabbia, mandare tutti a quel paese e provare a vivere la vita commettendo quei sacrosanti milioni di errori. Basta uno spazio climatizzato con elettricità, qualcosa da mangiare e bene, un wi-fi stabile e bye bye Revolutión! Dall’altra parte, invece, ci sono poi i genitori che rappresentano l’altra deriva del fenomeno. Eterni Peter Pan, hanno sia capito come fare a non farsi rompere le scatole dai figli, ritardando il conflitto generazionale a tal punto che probabilmente saranno direttamente i propri partner a doverlo affrontare al posto loro, sia d’altro canto si sono arrogati il diritto di poter, enormemente fuori tempo massimo, recuperare quella scanzonata libertà di espressione nei confronti di tutto e tutti, al di là di qualsiasi convenzione sociale e buona abitudine del vivere comune.-taglio2- Si sprecano così i “vaffa” di cui sopra, le liti quasi infantili, l’insofferenza dinanzi a regole e leggi, con la voglia di un mondo cucito addosso ed adattato ai propri gusti e necessità. I pochi che credono di dover dare qualche spiegazione, si nascono dietro il politicamente corretto, la libertà d’espressione, il “siamo in democrazia” e frasi fatte del genere, perdendo di vista il focus del tutto. Molte convenzioni sociali sul tema del rispetto sono tali poiché dettate dall’esperienza, che insegna e suggerisce determinati modi ed atteggiamenti solo per il bene di tutti. Volendo andare molto indietro, quell’“onora il padre e la madre” biblico non si rifaceva ad un onore “a prescindere”, ma dettato dal fatto che entrambi avrebbero saputo cose e rintracciare un indirizzo positivo alla propria prole, in base all’amore ed all’esperienza di vita. Mostrare rispetto per un professore non significa riconoscergli una “superiorità sociale”, ma una maggiore competenza in quello che fa, da cui poter trarre qualcosa di buono per la propria esistenza. Oggi invece il trend è quello dell’onniscienza: “Ho un mio modo di vedere il mondo che credo sia corretto e quindi lo difendo, e nessuno deve portarmelo via perché sono libero. Se qualcosa non la so ma ho comunque un parere al riguardo, riesco anche a trovare tanti sul web che la pensano come me, quindi nessuno può permettersi di dirmi niente e soprattutto posso parlare sempre e quando voglio”. Sono i nati dagli anni ’70 in poi che al giorno d’oggi ragionano così, non dei quindicenni brufolosi con la voglia di cambiare il mondo. Forse alla fine non è neanche una questione di rispetto verso il prossimo, è la paura di confrontarsi con se stessi il motore di tutto, di fare i conti con chi siamo diventati, di com’è andata, e del perché oggi, chi dovevamo ammirare mentre sognava di cambiare il mondo grazie ai nostri insegnamenti, è chiuso in una stanzetta con le cuffie, un joypad e una Red Bull.