Le recenti elezioni presidenziali hanno rappresentato la mancata possibilità di una evoluzione culturale e sociale per il nostro Paese, con l’occasione sfumata di una presidente donna
Erano state in tante a sottoscrivere l’appello per “Una donna al Quirinale”, proposto dalle scrittrici, attiviste e intellettuali italiane. Un documento aperto, dove spiccavano i nomi di Dacia Maraini, Edith Bruck, Liliana Cavani, Michela Murgia, Luciana Littizzetto, Silvia Avallone, Melania Mazzucco, Lia Levi, Andrée Ruth Shammah, -taglio-Mirella Serri, Stefania Auci, Sabina Guzzanti, Mariolina Coppola, Serena Dandini, Fiorella Mannoia, in cui si chiedeva un cambio di rotta, per una Italia che vuole essere al passo coi tempi, ma resta ancorata ad una concezione di guida politica destinata ai politici maschi. “Si parla di democrazia dei generi ma da questo punto di vista l’Italia è una democrazia largamente incompiuta, tanto più rispetto a paesi come Germania, Gran Bretagna, Austria, Belgio, Danimarca, Islanda, Norvegia, Finlandia. Eppure sappiamo che ci sono in Italia donne che per titoli, meriti, esperienza ed equilibrio possono benissimo rappresentare l’intera nazione al massimo livello. Non è questa la sede per fare un elenco di nomi ma molte donne hanno ottenuto stima, fiducia, ammirazione in tanti incarichi pubblici ricevuti, e ci rifiutiamo di pensare che queste donne non abbiano il carisma, le competenze, le capacità e l’autorevolezza per esprimere la più alta forma di rappresentanza e di riconoscimento. Questo è il punto. Non ci sono ragioni accettabili per rimandare ancora questa scelta. Ci rivolgiamo a voi, fate uno scatto. L’elezione di una donna alla Presidenza della Repubblica sarà la nostra, e la vostra, forza.” – si leggeva nel documento. Rosy Bindi, personalità politica di lungo corso, dichiarava a proposito di una sua candidatura: “Devo dire che me lo sto gustando, ma siccome so che non accadrà, non sono neanche accompagnata dalla preoccupazione e dai polsi che tremano solo all'idea di dover ricoprire una responsabilità così alta.” La ministra della Giustizia Marta Cartabia, la senatrice Emma Bonino, Maria Elisabetta Casellati, prima donna presidente del Senato, Anna Maria Tarantola, ex presidente Rai ed ex dirigente della Banca d’Italia, Anna Finocchiaro, ministra per le pari opportunità nel primo governo Prodi, capogruppo del Partito Democratico al Senato della Repubblica nella XVI Legislatura e ministra per i rapporti con il Parlamento nel governo Gentiloni, solo per fare qualche nome di donne in politica di rilievo e capacità, eppure l’altra parte dell’emisfero, ovvero quello maschile dichiara: "Servirebbe una donna, ma non c'è." – afferma Silvio Berlusconi, affiancato da Matteo Salvini, per il quale: "Noi la scegliamo se è brava, non perché è di moda." Eppure le donne sopracitate, ma l’elenco poteva continuare, non sono considerate evidentemente “brave” da un paese fatto di: “ Padri della nazione, dove non si pronuncia mai l'espressione madre della nazione” – come afferma, la sociologa Chiara Saraceno, cui si unisce la costituzionalista Giuditta Brunelli: "E' la riprova che prevale un'anima profondamente conservatrice, anche in chi si dichiara progressista, un conservatorismo culturale quasi inconscio" Pensiero confermato da uno studio parlamentare che ha calcolato che le donne elette alla Camera e al Senato sono il 35%, tre punti sopra la media europea, frutto delle normative di genere. Ma uguale aumento non si riscontra nei luoghi decisionali. Poche ministre. Mai nessuna presidente del Consiglio. Il Governo Draghi, 23 ministri: 8 donne e 15 uomini. Nei 64 governi della Repubblica ci sono stati 1500 incarichi ministeriali, e soltanto 78 erano di donne, di cui 38 senza portafoglio. -taglio2-Poco più del 5 per cento. Appare chiaro come nella politica italiana, ci si riempie tanto la bocca nel parlare di diritti per le donne, ma poi si è incapaci di trovare un accordo per eleggere una donna al Quirinale, non riuscendo a superare personalismi, giochi di potere, astiosità, contraddizioni, ipocrisie. Ma andiamo con lo sguardo al passato: La prima donna votata dai grandi elettori era stata, nel 1946, Ottavia Penna di Buscemi, candidata dal movimento dell’Uomo qualunque, guidato dal commediografo Guglielmo Giannini. Politica, eletta all’Assemblea costituente con sole altre 20 donne. Il 28 giugno del ’46 ottenne 34 voti, ma si trattava delle elezioni del Capo provvisorio dello Stato, in cui fu eletto Enrico De Nicola. L’idea di votare una donna non fu più presa in considerazione per i successivi 32 anni. Nel 1978, Camilla Cederna, giornalista dell’Espresso, Eleonora Moro, moglie dello statista della Dc, e Ines Boffardi, partigiana democristiana, prima donna nominata sottosegretario alla Presidenza della Repubblica, furono votate, ma senza esito. Allora fu eletto Sandro Pertini, il quale, da presidente della Camera, riprese gli onorevoli che “ridevano” all’idea che una donna potesse essere eletta. Le occasioni sprecate sono state negli anni tante: Nilde Iotti, presidente della Camera per tre legislature, Tina Anselmi, partigiana e politica, prima donna ministro della Repubblica e presidente della Commissione di Inchiesta sulla P2 e altre grandi donne della politica italiana. Il problema, purtroppo, e addolora doverlo ancora dire, non riguarda soltanto la politica, ma ogni campo sociale soprattutto nelle posizioni di vertice. Secondo il Gender Diversity Index 2021 (GDI), in uno studio sulla rappresentanza di genere, le donne in una scala che va da 0 a 1, in cui quest’ultimo rappresenta il traguardo del 50% di donne nelle posizioni di vertice, si è ancora a 0,59. Appare chiaro che l’obiettivo del 40% di donne nei consigli di amministrazione entro il 2025 difficilmente sarà raggiunto. Nel nostro Paese i dati statistici ci dicono che se la situazione è migliorata nelle aziende private, per le Società quotate grazie alla Legge Golfo-Mosca del 2011, nella Pubblica Amministrazione e in magistratura i ruoli direttivi sono, in gran parte, ancora affidati agli uomini. La Magistratura, ha un organico a forte componente femminile, eppure tra i 37 membri del Csm si contano soltanto 7 donne. La situazione non cambia nelle Università: su 84 atenei, ci sono 79 rettori uomini e soltanto 5 donne. Sempre in ambito universitario, tra i 57.000 docenti è presente il 39% di donne ma, se si rileva la percentuale tra i professori ordinari, il numero scende al 25%. Nel Servizio Sanitario Nazionale si registra una percentuale del 17% di donne primario, mentre a livello manageriale, direttori di Asl e aziende ospedaliere, le dirigenti donne sono solo il 24%. Questo il quadro del paese reale, dove nonostante la presenza femminile dal 2000 nelle Forze Armate non risulta esserci un solo generale donna nelle quattro Armi, meglio l’arma dei Carabinieri dove si contano 4 generali donne, provenienti dal Corpo Forestale e dalla Polizia di Stato. Dati che fanno riflettere e allo stesso tempo rendono amaro un boccone rivestito di falsa democrazia se coniata al femminile, ancora purtroppo lontani dal superare gli “stereotipi” che continuano a caratterizzare una società, ahimè, fondamentalmente “patriarcale”.