Gli inizi, le riflessioni contemporanee e tutta la carica jazz del chitarrista Mimmo Cappuccio
Mimmo Cappuccio, maturo musicista di origini casertane e con un progetto di smooth jazz/nu jazz in tasca da portare avanti, inizia giovanissimo a studiare chitarra e basso elettrico. Successivamente intraprende gli studi di armonia jazz frequentando seminari e stage sulle tecniche di arrangiamento e composizione musicale. -taglio-Segue, ancora, corsi di perfezionamento sulla tecnica del suono con utili esperienze negli States (Buffalo e New York) e a Londra Svolge per anni l’attività di produttore artistico e Sound Engineer sia in Italia che all’estero. Tra le produzioni e collaborazioni, su tutte: Riccardo Fogli, Gatto Panceri, Jean Michel Byron, Giuseppina Torre, Leonardo Monteiro. Per alcuni anni è stato direttore artistico di ‘Draka Production’. La musica di Mimmo Cappuccio è un insieme di suoni e di colori che generano umore raffinato e internazionale, un mood per chi respira musica… dal jazz al funky fino allo smooth jazz. Tutto nasce dall’incontro fortuito tra due musicisti diversi per storia e vissuto artistico, ‘Cappuccio & Schinaia’, (rispettivamente in arte Mr. K e Skina). Iniziamo dalla sua scelta definitiva di strumento a corde… «Fui stregato da quel sound aggressivo di alcuni chitarristi rock e tra questi il grande Carlos Santana. In seguito, diversi amici e colleghi mi dissero di un mago della chitarra … avrei dovuto ascoltarlo assolutamente. Si trattava di George Benson e qui si aprì un mondo … mi si allargarono gli orizzonti e tutto questo mi spinse ad iniziare gli studi di armonia e improvvisazione jazz. Ammiravo già da tempo il grande Gigi Cifarelli ed iniziai ad ascoltare, soprattutto Kenny Burrell, Wes Montgomery, Joe Pass ed altri che immediatamente mi fecero cambiare rotta. Il rock del mio mondo adolescenziale, pur rimanendo la base sulla quale ero cresciuto, andò quindi in cantina per lasciar posto al jazz.» Come dovrebbe essere, per te, la figura del chitarrista jazz ideale? «Personalmente credo che un chitarrista di jazz debba portare nel suo bagaglio musicale, nella sua storia, un po’ di rock, un po’ di … definiamola giusta dose di ‘trasgressione’. Il rock è generazionale, è aggregativo ed è - come nel calcio - la cosiddetta costruzione dal basso.» Al tramonto dei mitici anni settanta ascoltavi anche tantissimo l’indimenticabile Pino Daniele… «Pino per generazioni è stato un mito ed è stato così anche per me. Quel suo brano era molto blues, o meglio un buon compromesso tra le culture blues/jazz e la nostra melodia italiana.-taglio2- Incuriosito da questo fenomeno, fui stimolato a comporre canzoni con accordi ricercati, tipici del jazz e della musica ricca di contaminazioni. Pubblicai, spinto da questa verve partenopea, in questo modo, due vinili come cantautore. Come d’improvviso … mi ritrovai in programmi televisivi Rai insieme a Raf, ma il mio carattere… un po’ introverso e soprattutto schivo, la voglia di una ‘ricerca non convenzionale’, mi fecero trincerare, successivamente, in quella ‘macchina fatta di bottoni e pulsanti e tra l’analogico ed il digitale: ovvero nel mio studio di registrazione, nella produzione in studio e la discografia.» Come gira oggi per uno che ha sempre cercato le giovani leve come un talent scout? «Beh! … diciamo che oggi sono un po’ meno producer e più chitarrista. Non prediligo e sono lontanissimo dalle ‘politiche aziendali’ ipocrite dell’attuale e scadente musica pop italiana. Il mio essere chitarrista non vuole però entrare a gamba tesa in nessun ambiente professionale del jazz ma, per rispondere alla domanda, devo dire, per quello che mi riguarda, che gira bene, anche perché porto avanti un progetto del quale vado fiero e qui potrebbe girare meglio.» La settarizzazione, dunque, esiste anche nella musica? «Non è proprio come negli anni della disparità ‘a palla’ ma siamo quasi vicini. Purtroppo, oggi, in Italia è ancora difficile fare Smooth Jazz ed è un problema di cultura. Avverto con risentimento una sorta di “discriminazione musicale” in particolar modo proprio negli ambienti del jazz (e dei festivals), dove invece dovrebbe esserci apertura a 360 gradi. Il mio progetto evoco proprio quel periodo tra gli anni ‘70 e ‘80 dove il jazz incontra altre forme musicali, dal soul al funk alla disco music. In Italia, invece, avverto sempre il nepotismo, la casta! O ti fai battezzare da qualche ‘Padrino della musica’ oppure farai fatica. Questo non va bene! Nel periodo pandemico, sulla rete ho poi scoperto Sabrina Schinaia con la quale abbiamo realizzato dei brani. Oggi insieme a lei e con un collettivo di musicisti amici stiamo realizzando un nuovo percorso: ‘Cappuccio Collective Smooth’. Insomma, un chitarrista sotto le mentite spoglie di produttore … Abbiamo già suonato a Milano, al ‘Teatro Bello’ gli scorsi 13 e 14 gennaio e poi ci esibiremo a Roma ed il 29 marzo al ‘Teatro Arciliuto’.»