Al Teatro Mercadante di Napoli va in scena uno dei classici più amati di sempre: “La tempesta”
“La tempesta” di William Shakespeare, nell’adattamento e regia di Luca De Fusco, ha inaugurato la stagione del Teatro Mercadante di Napoli. Lo spettacolo, in coproduzione con il Teatro Nazionale di Genova e la Fondazione Campania dei Festival, si avvale della traduzione di Gianni Garrera e di un cast di livello: Eros Pagni (Prospero), Gaia Aprea (Ariel, Calibano), Alessandro Balletta (Francisco), Silvia Biancalana (Miranda), Paolo Cresta (Sebastiano), Gennaro Di Biase (Stefano), Gianluca Musiu (Ferdinando), Alessandra Pacifico Griffini (Giunione), Alfonso Postiglione (Trinculo), Carlo Sciaccaluga (Alonso, re di Napoli), Francesco Scolaro (Adriano), Paolo Serra (Antonio), Enzo Turrin (Gonzalo). -taglio-Le belle scene e i costumi di Marta Crisolini Malatesta, il disegno luci di Gigi Saccomandi, le musiche originali di Ran Bagno, le installazioni video di Alessandro Papa, i movimenti coreografici di Emio Greco e Pieter C.Scholten, l’adattamento vocale di Ciro Cascino, precipitano nella “tempête sous un crâne”, ovvero un’opera di pura immaginazione. Se la shakeaspeariana tempesta è scatenata da Prospero, spodestato dal ducato di Milano da suo fratello Antonio, per punire l’usurpatore, nella lettura di De Fusco è un parto della sua mente. “Tutto è nella testa del mago – afferma il regista - compresi Ariel e Caliban, che divengono in questa lettura una sorta di Jekyll e Hyde. La tempesta – spiega – ha solo un effetto: quello di condurre tutti i nemici di Prospero sotto la sua ferula, nell’unico posto dove tutti i suoi desideri sono immediatamente appagati, la sua isola, il suo universo, quello della creazione letteraria”. L’isola di Prospero, spiega Garrera, “è stata scuola, biblioteca e teatro di prestigio e incantesimo. L’isola fa regredire all’infanzia. Solo il linguaggio di Prospero progredisce dalla lingua per favole alla lingua filosofica della speculazione morale”. Nessun elemento esotico nella lettura di De Fusco dell’ultima opera del Grande Bardo, nessun elemento selvaggio sottolineato, ma tanti libri della favolosa biblioteca di Prospero e tanti personaggi che indossano abiti di diverse epoche, che sfilano su un tapis roulant. Il selvaggio Caliban e lo spirito Ariel sono mirabilmente interpretati da Gaia Aprea che indossa una maschera -taglio2-identica al volto del suo padrone, e rappresenta due “doppi” di Prospero, superbo Eros Pagni che spiega spiega che siamo fatti della stessa materia dei sogni... Stevenson, Wilde, Freud e Pirandello sono ispiratori della messinscena che presenta altre visioni, come quella di Marilyn Monroe, e la parentesi comica popolare di Trinculo e Stefano. De Fusco legge la Tempesta come l’addio di Shakespeare al teatro. Di certo, come in tutte le opere shakespeariane, nella Tempesta vi sono elementi di carattere filosofico, religioso e politico. La magia, l’arte di Prospero rappresentano una riflessione dell’arte e sull’arte del drammaturgo che, attraverso la finzione scenica, scrive Giorgio Melchiori, si assume il compito di manipolare e gestire il mondo dei sentimenti umani. “In tal senso The Tempest è davvero metateatro” e psicodramma, e rappresenta anche un’esplorazione sull’ambiguità del linguaggio (“m’hai insegnato a parlare, e questo è il frutto – dice Caliban a Prospero – so come maledirti ora”). Prospero, alla fine, torna uomo fra gli uomini, demiurgo teatrale capace di indagare il mistero delle cose. I ruoli sono cambiati nell’epilogo: non è lui il mago ma il pubblico e senza il suo aiuto egli rimarrà prigioniero dell’isola che ha creato. “La vostra indulgenza mi renderà libero”, dice infatti al pubblico. Come sottolinea Peter Brook nella sua versione del dramma del 1990, ogni personaggio invoca una sua libertà. La Tempesta è la prigione nella quale, come voleva Lear, si racconta la favola che svela il mistero della vita.