Un grande lavoro coi giovani è quello che da anni vede protagonista il “Maestro di Strada” Nicola Laieta, per trovare nel teatro un’importante fonte di formazione e riscatto
Nicola Laieta, teatro-educatore, Maestro di Strada dal 2005, racconta il suo lavoro con i giovani. La metodologia dei “Maestri di Strada” è al servizio della crescita autentica dei ragazzi, attraverso percorsi di inclusione che li vedono protagonisti, nessuno escluso.-taglio- I Maestri sono professionisti che credono nella comunità educante, nella formazione continua, impegnandosi quotidianamente in diversi progetti per sostenere lo sviluppo dei giovani a rischio.
Il teatro, con i suoi laboratori, le messe in scena, consente ai ragazzi provenienti da realtà difficili di migliorarsi, acquisendo fiducia nelle proprie capacità, confrontandosi, portando fuori il proprio vissuto: quali sono le sue funzioni?
“Il teatro ha una duplice funzione: è strumento di autorappresentazione e di discussione su di sé. È importante mettere in crisi il punto di vista che, in età adolescenziale, si dà per scontato, partendo piuttosto dal punto di vista dei ragazzi - il teatro significa smascherarsi. Credo che, sebbene i nuovi media possiedano potenzialità nel rafforzare la capacità comunicativa, si corra il pericolo di amplificare le maschere. Il teatro rappresenta uno degli ultimi spazi di libertà, perché è di per sé caotico, dissonante. Attualmente stiamo usando le voci degli strumenti musicali per improvvisare davanti alla webcam: è un momento catartico. Stare insieme significa aprirsi, ispirarsi a vicenda. Anche se i giovani adoperano Tik Tok e altre piattaforme social, che vanno anche bene, qui si crea improvvisazione, dando la possibilità di liberarsi portando fuori la vitalità che si ha dentro.”
Si creano anche scambi con le attività laboratoriali, gli incontri che favoriscono la socialità per ragazzi “difficili”, che spesso non vanno a scuola…
“Si, sono ragazzi che a scuola non vanno quasi mai e vengono nei nostri laboratori per crearsi un gruppo, per reincontrarsi. Noi creiamo una relazione attraverso gli educatori, ponendoci in ascolto. A questo proposito è da leggere il libro ‘Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee d’intervento’ di Piero Bertolini e Letizia Caronia, un classico. Quello che blocca i ragazzi di strada sono le esperienze negative che hanno sperimentato, immaginando che ogni loro nuova esperienza non potrà che essere negativa. Ciò li chiude nella loro rabbia, li rende provocatori. In questo li aiuta dover recitare storie diverse, diversi finali, creando un effetto di armonizzazione delle loro esperienze, aprendoli anche a relazioni affettive.”
Collaborate spesso con “Trerrote”, l’associazione che si occupa di teatro e cultura, ricerca e formazione, educazione e territorio…
“Si. ‘Trerrote’ è nata dall’idea di alcuni educatori di approfondire relazioni col territorio con il teatro, creando spazi di incontro informali. Oltre all’effetto del lavoro, il tempo in cui stare insieme si moltiplica. Gli adulti mostrano non a parole ma con l’esempio come cambiare maschera. La nostra formula è quella di avvicinarli ad una mente adulta: Lev Vygotskij, pedagogista russo, parlava di ‘zona di sviluppo prossimale’, per spiegare come la crescita del bambino si svolga con l’aiuto degli adulti, imparando da coloro che si trovano ad un livello di conoscenza superiore. I più grandi sono i ‘peer educators’.” -taglio2- Avete collaborato con il Teatro Bellini di Napoli, mettendo in scena “Opera, una favola strana”, ispirata a Brecht e Viviani, con giovani attori della periferia Est di Napoli alla loro prima esperienza con il palcoscenico. Sono state ben quattro stagioni di collaborazione con il Teatro con una osmosi, poiché gli allievi della Factory del Bellini hanno seguito alcune lezioni di teatro – educazione curate da voi…
“Si. L’ultimo anno gli allievi della Factory hanno partecipato ad un seminario di chiusura, apprendendo gli altri utilizzi del teatro, pedagogici, terapeutici e sociali. Lo spettacolo ‘Opera. Una favola strana’ messa in scena al Piccolo Bellini ha coinvolto cinque ragazzi cresciuti con noi. Una delle esperienze più belle è stata quella di coinvolgerli nei nostri laboratori con i ragazzi di periferia i quali, a loro volta, hanno assistito ai loro spettacoli per scriverne poi le emozioni provate raccontando una storia – una restituzione commovente.”
Molto interessanti i “Tour esperienziali Fiera dell’Est”, una sperimentazione di impresa educativa, per rendere protagonisti i giovani nella valorizzazione del loro quartiere…
“Purtroppo al momento sono fermi i tour e anche i viaggi: avremmo dovuto essere a Genova per incontrare gli altri maestri. Il Tour si basa su un duplice incontro: laboratori per raccontare ciò che è significativo per i ragazzi, per restituirlo ad altri giovani magari vicini di quartiere. I protagonisti del tour sono la convivialità, i giovani con le loro storie narrate e rappresentate anche con linguaggi artistici, i ‘monumenti umani’ (le persone che si dedicano al proprio quartiere), la bellezza e la storia spesso nascosta in questi luoghi.” I giovani hanno incontrato Erri De Luca: dal suo libro “Morso di luna nuova” e da “Guerra totale” di Gabriella Gribaudi è nato lo spettacolo “Il contrario di uno”…
“L’evento è stato l’inizio di un progetto per raccontare la città attraverso l’occhio di amici di spessore. L’incontro è avvenuto sul Vesuvio, lì dove De Luca, a diciotto anni, salutò la sua città. Lo scrittore ha espresso due concetti significativi: dalla catastrofe può nascere la bellezza e la considerazione dell’adolescenza come momento di immensità dell’essere che ha dinanzi a sé tutte le scelte possibili. È stato un incontro poetico, che ha creato un patrimonio, un linguaggio comune.”
Molti giovani da voi formati si sono iscritti all’Università, qualcuno ha trovato lavoro, altri studiano per diventare attori e formatori teatrali… In questa fase drammatica il teatro è ancora più importante...
“Si, tanti si propongono di studiare arte, pedagogia, educazione, trasmettendo il loro background ad altri giovani e coinvolgendo i bambini più piccoli del loro quartiere. Dobbiamo stare loro vicini e renderli consapevoli di ciò che possono dare, più che ricevere, farli sentire significativi, liberi, cittadini attivi. Ecco quello che facciamo con il teatro. Il grande risultato è che i ragazzi si sentono parte di una comunità.”