La corsa scudetto è ufficialmente in una fase molto calda e dopo alcuni mesi di incertezze, l’Olimpia Milano ha rialzato la testa grazie a lui, trascinatore indiscusso della franchigia lombarda
È certamente la bandiera dell’Olimpia Milano, squadra storica del panorama della pallacanestro italiana reduce dalla vittoria della scorsa stagione sportiva contro l’altra squadra storica Virtus Bologna: -taglio-Nicolò Melli è anche il volto della Nazionale Italiana ed insieme ad altri suoi “colleghi” come Marco Belinelli e Gigi Datome (solo per citarne alcuni) è riuscito a dare nuova vita al movimento Italbasket, che negli anni sta vedendo un incremento di popolarità e seguito mai visti prima d’ora. Melli grazie al basket ha avuto la possibilità di giocare in giro per il mondo, impossibile dimenticare il 2019, anno in cui è stato scelto come giocatore dei New Orleans Pelicans nella lega più conosciuta del pianeta: l’NBA. In questa intervista esclusiva ci faremo raccontare quali sono stati i momenti più significativi vissuti finora e cosa significa essere uno sportivo professionista al giorno d’oggi, insomma, gioie e dolori del vivere avendo fatto della propria passione un lavoro. Ciao Nicolò, prima di iniziare… come stai? “Ciao! Bene dai, è un momento di forte ripresa, con la squadra siamo in una scia positiva quindi anche l’umore è molto su!” A proposito di questo, con l’Olimpia quest’anno avete attraversato un momento difficile e soprattutto inaspettato. Tu sei stato un vero e proprio trascinatore registrando delle gare con una media punti, rimbalzi, assist, da vero campione. In questi casi come si reagisce, cosa accade nello spogliatoio? “Il bello della pallacanestro è proprio questo: tutto può accadere e soprattutto tutto può cambiare da un momento all’altro. Sicuramente non ci aspettavamo di iniziare l’anno in maniera così altalenante, ma non perché pensiamo di essere superiori alle altre squadre, ma perché reduci da un campionato vinto ed avendo la stessa squadra si sono creati nei mesi dei punti fermi, una sintonia particolare. E invece, qualcosa è andato storto… non riuscivamo a ‘funzionare’ più come prima. Ci siamo seduti nello spogliatoio ed insieme abbiamo cercato di capire quali fossero le cause di questo rendimento poco fruttuoso in fatto di vittorie e di qualità del gioco; ognuno ha detto la sua e ha suggerito qualche modifica. Ho apprezzato molto il fatto che ognuno di noi abbia ammesso le proprie colpe senza girarci troppo intorno, nonostante questo però non riuscivamo ad ingranare come una volta, e allora essendo io molto competitivo ho cambiato completamente modo di approcciarmi al gioco e alla squadra e ho deciso di trascinarmi tutti dietro… è andata bene! E spero continui così! Ora sono in un momento proprio da ‘Mamba Mentality’ – approccio mentale di Kobe Bryant ndr.” Diciamo che ti sei comportato da vero capitano, cosa ha significato per te tornare in Italia e perché hai deciso di venire a Milano? “Beh, si... anche se ammetto di essere un capitano molto democratico! – ride ndr. Tornare in Italia, col senno di poi, è stata la cosa migliore che potessi fare non solo per quanto riguarda la mia carriera da cestista ma anche per una diversa stabilità personale. Qui ho gli amici vicini, la famiglia, la cultura è la mia… insomma viaggiare è bellissimo però poi tornare a casa lo è sempre di più! Milano è una città che mi ha accolto a braccia aperte, la società è fantastica: ci sarà un motivo se è da anni che viene considerata una delle migliori del nostro Paese e non solo. In realtà già da qualche anno prima mi avevano iniziato a ‘corteggiare’, io però non avevo ancora le idee troppo chiare, fino a quando ho deciso e adesso eccomi qui! Ritornando al discoro del capitano, per quanto mi riguarda mi dà un senso di responsabilità sia nei confronti di me stesso, per come mi devo comportare sia nei confronti dei miei compagni, della società, dei tifosi. Cerco di metterci la faccia, per quanto posso, di esprimermi, di fare da collante sia all’interno dello spogliatoio che verso l’allenatore e la società. Se c’è qualcosa che ritengo sensato me ne faccio ambasciatore, cerco di fare da filtro. Per me è un grandissimo onore. Significa anche che sto invecchiando. Però penso sia una cosa bella di cui spero di essere sempre degno.” Nel corso della tua carriera hai giocato anche negli Stati Uniti, com’è stata per te l’esperienza NBA? Hai qualche rimpianto? “Per un giocatore di basket arrivare a giocare in NBA è un sogno che si avvera, inutile girarci intorno. Nel 2019 quando sono stato scelto dai Pelicans è stata un’emozione indescrivibile… stentavo a crederci. Inoltre al mio esordio è andata bene, ricordo di aver fatto 14 punti nonostante poi la mia squadra abbia perso all’overtime contro i Raptors. Penso di essere stato il primo a debuttare così, e puoi immaginare l’emozione e l’orgoglio! Allo stesso tempo posso dirti che l’NBA, come tutte le cose americane, sono esagerate: si vive per quello dentro e fuori dal campo, sei sempre sotto una lente d’ingrandimento e così come ti amano, in mezzo secondo possono buttarti giù quindi viverla da giocatore presuppone un carattere bello forte e poco influenzabile dalle opinioni altrui. Io non ho nessun rimpianto, ho deciso di cambiare rotta e tornare in Europa semplicemente perché mi sono reso conto che il io gioco non riusciva ad adattarsi bene a quel contesto, di conseguenza le strade erano due: continuare a star lì senza però riuscire ad esprimermi al meglio, oppure cambiare squadra e mettermi in discussione ripartendo da zero. Sapete che ho scelto la seconda e certamente rifarei questa scelta.” Prima di lasciarci, un’ultima curiosità: se non avessi fatto il cestista professionista oggi saresti? “Un professore di lettere! – ride ndr. No, scherzi a parte, non so cosa sarei potuto diventare però posso dire che amo molto leggere; leggo davvero tanto e qualsiasi cosa quindi poiché sono uno che vive di passioni avrei probabilmente coltivato questa!”