Applauditissima nei panni di Carmela nell’acclamata serie “Mare Fuori”, Giovanna Sannino è una delle giovani attrici più promettenti del panorama italiano, ora alle prese con il suo primo libro
“Ho scoperto che ci sono tante storie come quella che racconto nel libro e questo ha contribuito a mettere in ordine dei pensieri. Mi sono sentita ascoltata e compresa, meno sola, meno giudicata. Credo sia importante far sentire la propria voce, soprattutto quando si vuole gridare giustizia al mondo”: -taglio- questo è molto altro possiamo leggere in “Non sempre i sogni svaniscono al mattino”?, opera d’esordio della bravissima attrice Giovanna Sannino, salita alla ribalta grazie al ruolo di Carmela nella serie “Mare fuori” ed ora pronta ad affrontare tantissimi progetti artistici in modo trasversale. La incontriamo per scoprire qualcosa in più della sua grande determinazione e passione per i suoi progetti, in esclusiva per i lettori di Albatros. Giovanna, iniziamo da quest’opera. Come nasce? “Nasce a scuola, durante le ore di latino. Mentre il prof. Spiegava, in un quaderno racchiudevo i pensieri di quel periodo buio della mia vita. “Non sempre gli incubi svaniscono al mattino” nasce come un diario, dopo due anni inizia ad assumere la fisionomia di un libro. Raccontarmi è stata un’esigenza, avevo bisogno di risposte che nessuno mi avrebbe dato, di una spalla su cui piangere, di schiarirmi le idee; la scrittura è stata mia custode.” Quanto è stato importante raccontare questa storia e in che modo ti sei sentita più vicina ai lettori? “Per me questa storia, dalla prima all’ultima parola, rappresenta una social catena con tutti coloro che sono stati travolti dall’onda dell’ingiustizia, della superficialità, dell’indifferenza e del potere. Scrivere mi ha sicuramente liberato da tanti pesi, mi ha permesso un riavvicinamento con mio padre, non che prima fossimo distanti, ma non si poteva parlare di ciò che ci era successo, era un tabù. Questo libro ha esorcizzato il nostro dolore, ci siamo presi per mano e siamo risorti, insieme.” Quale credi che sia il messaggio più importante di questa storia che speri arrivi alle persone che leggono il libro? “Gridate. Fate sentire la vostra voce, smettiamo di restare in silenzio ad osservare come anche la nostra vita lentamente si sgretola. Bisogna reagire e non avere mai paura. Credo che questo sia il primo messaggio che voglio trasmettere. In secondo piano la classica frase “nessuno si salva da solo”; in questo libro c’è la forza dell’amore, tra due ragazzi, tra un padre ed una figlia, l’amore della famiglia, l’unica cosa capace di portare calore e colore in un momento freddo e grigio. L’amore ci salva, con me lo ha fatto e lo fa tutt’ora. In che modo la scrittura ha dato coraggio alla tua vita? “Ho impiegato cinque lunghi anni a scrivere 142 pagine. Sembreranno tantissimi e lo sono, ma prima di tutto ho dovuto fare a pugni con incubi e dolori. Scrivere vuol dire mettersi in gioco, interrogarsi, rivivere il passato. Io avevo vergogna del mio. Non volevo che questa storia si conoscesse, se avessi potuto cancellarla lo avrei fatto, poi ho cambiato idea. Ho capito che tutto forma e tutto ci cambia. Oggi mi reputo una piccola donna forte per tutte le esperienze che ho vissuto. C’è voluto tanto coraggio a mettere insieme questo lavoro, mi sono fermata tante volte, ho pianto, ho mollato, ho chiuso il computer e messo nel cassetto tutto quello che avevo scritto, ma tornavo sempre ad aprirlo. Era una ferita che non sarebbe mai guarita se non avessi concluso quello che avevo iniziato. Lo dovevo fare, per me, per mio padre, per la mia famiglia, dovevo far conoscere questa storia. Oggi posso dire che ho trasformato incubi e cicatrici in vanto ed orgoglio.” Parliamo della tua carriera artistica, quando hai iniziato a recitare? “Ad essere sincera non lo ricordo! È stato il teatro a venire da me e non viceversa. Trascorro serate sul palco o in platea, tra una prova e uno spettacolo da che ne ho memoria. I miei genitori mi hanno trasmesso questa passione, -taglio2- quando ero piccola mentre loro erano in scena io li guardavo con le lacrime agli occhi da dietro le quinte, volevo stare con loro. Poi è arrivato il debutto a cinque anni, la scuola di cinema, l’esperienza di laboratorio nel carcere di Nisida a Napoli e senza che me ne rendessi conto ho iniziato a lavorare. La recitazione è sempre stata una costante nella mia vita e il perché non l’abbia mai abbandonata, credo, che lo sto capendo solo adesso. La passione di vivere tante vite non vuole essere sinonimo di bipolarismo o schizofrenia, ma per me significa scoprirmi sempre, raccontarmi attraverso i panni di altri persone. In scena, al cinema, in tv, metto in scena ogni mia fragilità con la consapevolezza che nessuno mi farà mai del male perché nessuno saprà mai dove finisce il personaggio e inizia Giovanna. Porto me stessa e la mia libertà, cosa che nella vita non sempre si può fare, per questo credo che quello dell’artista sia il mestiere più bello del mondo.” Poi, è arrivato “Mare Fuori”. Che esperienza hai vissuto sul set? “Sicuramente noi tutti stiamo vivendo un piccolo sogno. Mare Fuori mi ha donato una scintilla nuova. Un set così grande non lo avevo mai vissuto e percorrere questo cammino con i miei colleghi è stato molto costruttivo. Per me è stata una bella sfida, il mio personaggio è completamente diverso da me, anche se abbiamo qualche punto di contatto. Ho imparato ad assolvere chi condannavo, ho sviluppato un forte senso di maternità stringendo il piccolo Ciro tra le mie braccia, ho capito cosa vuol dire la parola “sacrificio” quando per cinque mesi i tuoi amici partono, fanno festa e vivono l’estate, mentre tu cerchi di avere dei ritmi tranquilli per essere sul pezzo il giorno dopo sul set. Ho imparato a lavorare sul mio corpo, sulla mia voce, sul personaggio, sui suoi pensieri. Ho messo tutta me stessa, soprattutto nella terza stagione, fortunatamente, la squadra era vincente. Ivan Silvestrini, il regista, per me è stata una guida importante, mi ha tenuta per mano, mi ha sempre tutelata e ascoltata, qualsiasi fosse il mio dubbio o la mia proposta, non è da tutti lavorare così.” Cosa ti affascina di Carmela? “La sua ferocia. Ho un carattere abbastanza pacifico, litigo con le persone dentro la mia testa, ma difficilmente fuori! Carmela è istintiva, un lupo che difende il suo branco. Mi affascina la sua forza, è un personaggio molto interessante. Lei è vittima e carnefice, prima di tutto di se stessa, è lo stereotipo di una realtà che non può essere ignorata. Carmela rappresenta tutte quelle donne che dipendono dai loro uomini, che non hanno diritto ad un’identità, che vivono nell’ombra e lì devono restare; è la testimonianza di una tradizione retrograda e ignorante che sembra distante, ma, purtroppo, è più attuale che mai.” Quali sono i tuoi progetti futuri e cosa speri di realizzare nel corso della tua carriera? “Ho appena concluso le riprese di “Shangai” un corto thriller di Maria Diletta Cocco accompagnata in scena da Nunzia Schiano, è stata una bella esperienza e soprattutto nuova. Lavorare con Nunzia che è un colosso del teatro e del cinema italiano è stato importantissimo, sono una persona che ascolta molto, e da un’attrice e una donna come lei si può solo imparare tanto. Spero di poter raccontare la verità delle persone, di quelle che non hanno sempre voce in capitolo. Sono un’attrice e quindi uno strumento di comunicazione, spero che attraverso i miei occhi possa passare tanta cultura, tanti messaggi sociali e, soprattutto, tanta empatia.”