Nella città partenopea ritornano le opere di uno dei più grandi scrittori della letteratura anglosassone
Al Teatro Sannazaro, per la linea “A volte ritornano”, a cura di Giulio Baffi, in scena “Shakespea Re di Napoli”. Lo spettacolo, nato al Festival di Sant’Arcangelo nel ’94, ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti e da oltre vent’anni è presentato con successo nei teatri italiani ed esteri. Il testo di Ruggero Cappuccio, che cura anche la regia della messinscena, pubblicato nella Collana Classici nella Collana Einaudi, è interpretato da Claudio Di Palma e Ciro Damiano. L’Autore e regista, da sempre grande studioso della complessa e meravigliosa lingua del barocco napoletano, sposa la musicalità del linguaggio del Bardo con quello del napoletano seicentesco. In quale altra grande città e cultura Shakespeare avrebbe potuto trovare storia e costumi e lingua così ricchi se non nella Napoli barocca? -taglio-La storia ha luogo in una notte di Carnevale, nella quale due amici vagheggiano di un viceré, della vita al castello, dell’incontro con Shakespeare, dell’incombente peste, grande metafora di morte e redenzione. Un giovane Shakespeare venne a Napoli e, durante il Carnevale, occupò il trono del viceré per una notte, fatidica, nella quale il Poeta conobbe Desiderio, giovane comico di strada, portandolo con sé in Inghilterra. Desiderio viene eletto a protagonista dei suoi personaggi, maschili e femminili, e a lui il Bardo donerà i Sonetti. Non più giovane, l’attore torna a Napoli dall’ “Anglaterra”, segnato dalla peste, e racconta all’amico Zoroastro, comico e improbabile alchimista, l’affascinante storia. Desiderio si aggrappa ad un forziere scampato al naufragio nel suo ritorno a casa e che contiene i versi d’amore che il poeta di Stratford-upon-Avon gli ha dedicato: il suo bene più prezioso, con fogli scoloriti dall’acqua di mare ma scolpiti nel suo cuore. L’attore recita battute dei celebri personaggi delle tragedie del Bardo. Le iniziali “W. H.”, personaggio cui sono dedicati i centocinquantaquattro componimenti dei Sonetti, sono quelle di Will Hearth, che si potrebbe tradurre come “desiderio del cuore”. Iniziali identificate con l’attore fanciullo del teatro elisabettiano,-taglio2- indimenticabile interprete di Viola, Desdemona, Rosalinda, Giulietta: Willie Huges. Identificato anche con il conte di Pembroke, con Lord Southampton, oggi diviene “Will”. La lingua del Bardo è ora un intreccio di endecasillabi e settenari, colta, colorita, ricca, poetica, lingua dei Basile e dei Cortese, musicale, incandescente, teatrale, mirabilmente incarnata nei corpi e nei dialoghi/monologhi degli strepitosi protagonisti Claudio Di Palma, Desiderio e Ciro Damiano, Zoroastro che danno anche bella prova fisica di incredibile energia. Intense le musiche di Paolo Vivaldi, magnifici i tagli di luce che suggeriscono immagini di caravaggesca memoria, di Giovanna Venzi così come la cornice che, nel finale, racchiude il corpo di Desiderio stroncato dalla malattia, spento nei sensi ma eternato nel suo amore per l’arte. “Il conflitto e confronto del teatro elisabettiano con le forme espressive della Napoli barocca sono i presupposti per l’invenzione di una sinfonia del dire specchiata in significati e ritmi che tendono alla sospensione assoluta di una storia nel tempo” – afferma Cappuccio che ha dato vita ad una magnifica partitura teatrale che fonde la lingua di Shakespeare e quella del Basile, capaci, come solo i grandi, di mostrare luci ed ombre che colorano l’animo umano.