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Morti di fama

di Adriano Fiore

Numero 253 - Settembre 2024

se la fama non è un mezzo per far soldi (perché già si hanno), ma piuttosto il fine ultimo delle proprie azioni, psicologicamente parlando di fronte a che patologia ci troviamo?


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Il gossip dell'estate tra il Ministro San Giuliano e Maria Rosaria Boccia probabilmente si esaurirà troppo presto, sovrastato da notizie serie che al rientro dalle ferie prima o poi dovranno pur arrivare, e per questo noi tutti perderemo una preziosa occasione per una più larga riflessione sociologica sui nostri tempi, legata ad un fenomeno molto diffuso ma poco studiato: i "morti di fama". -taglio- Come potrete facilmente intendere, gli appartenenti a questi ultimi sono riconoscibili dall'assoluto bisogno di "diventare famosi", attraverso qualsiasi mezzo, lecito o meno, che possa essere in grado di farli uscire dell'anonimato. Investono, quindi, tempo e denaro per apparire sempre belli e alla moda (ciascuno secondo le proprie possibilità), per frequentare i posti giusti (Festival, party, cene e similari), per avvicinare il più possibile qualche VIP (o chiunque sia da loro percepito come tale), in maniera da cominciare la loro "scalata" verso la notorietà. E se si parte da una piccola cittadina di provincia, o da qualche paese sconosciuto del Sud America come nel caso di tante starlette della nostra tv, la strada può essere molto lunga ed inevitabilmente piena di insidie e compromessi. Quello che tuttavia non è stato mai troppo indagato riguarda la genesi di questi atteggiamenti, di questo bisogno spasmodico di diventare "qualcuno" a tutti i costi. O meglio, nel caso di chi arrivava dalla povertà, è stato naturale presumere che tale necessità andasse di pari passo con quella di fare soldi, di migliorare le proprie condizioni di vita, di aiutare i familiari e di tradurre ricchezza e fama come una rivincita nei confronti di quella miseria che aveva provato ad imprigionarli. Cosa ben diversa sono, invero, i fenomeni "alla Boccia": la signora proviene da una famiglia benestante, che appunto le ha permesso per i suoi primi quarant'anni di viaggiare, conoscere luoghi e persone, di esporsi e mettersi in mostra, tra foto in luoghi cult e selfie col divo di turno, provando sempre di più a farli sembrare dei naturali ritratti tra amici e non degli scatti rubati al volo e magari controvoglia. Per cui torniamo al nostro quesito: se la fama non è un mezzo per far soldi (perché già si hanno), ma piuttosto il fine ultimo delle proprie azioni, psicologicamente parlando di fronte a che patologia ci troviamo? -taglio2- E soprattutto, quanto stanno influendo su questa i nuovi media ed il loro utilizzo sconsiderato? Sicuramente, per provare a dare delle risposte, c'è una forte componente di ossessività in questi atteggiamenti che sfociano, come abbiamo letto ahinoi, addirittura in attività di pseudo-spionaggio, minacce e (speriamo non) ritorsioni, che poi solo la legge potrà punire dimostrando il dolo (che peraltro non sempre è così facile). Ma studiando invece l'incidenza dei social su simili atteggiamenti, si potrebbe facilmente rintracciare un fil rouge diretto tra le vite glamour dei VIP ed il modo in cui sono osannate dai followers, e quell'ansia di dover provare ad imitarle, non tanto per il piacere di vivere bei luoghi o momenti indimenticabili, ma per i like, la visualizzazioni, l'aumento di followers e pazzie simili. Ho visto personalmente di persone che ordinavano drink o cibo solo per fotografarsi e poi buttare tutto, fare video fingendo di divertirsi per poi ripiombare in una tristezza alienante con lo smartphone tra le mani, oppure spendere soldi che magari non hanno per mostrare vite che non fanno, sperando che qualcuno ci caschi e, ingenuamente, gli dia poi la chance di fare tutto per davvero. Stiamo andando verso un mondo distopico, che basterebbe guardare con un po' di distacco e spirito critico per intuire l'urgenza di un repentino cambio di rotta. Stiamo tutti sbagliando qualcosa, ma siamo in pochi ad accorgercene e ancor di meno a voler far qualcosa per cambiare prospettive, priorità e percezione di noi stessi e del nostro posto nel mondo. Anche perché pure tra chi se n'è accorto ci sono molti a cui va bene così, tronfi di essere "dalla parte giusta della storia", dimenticandosi però che le storie a cui appartengono durano non più di pochi secondi, per poi scomparire nell'oblio della rete.





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