L’icona mondiale Marina Abramovic emoziona con il suo nuovo lavoro multimediale “7 Deaths of Maria Callas” al Teatro San Carlo di Napoli
Al Teatro di San Carlo è andata in scena la prima italiana dell’opera “7 Deaths of Maria Callas”, che Marina Abramović, artista icona della performance art, dedica al compianto soprano greco. Lo spettacolo, in scena dal 13 al 15 maggio, rappresenta le morti “sul palco” della Callas protagonista in Carmen, Tosca, Otello, Lucia di Lammermoor, -taglio- Norma, Madama Butterfly e La traviata – le eroine simbolo del melodramma per le quali la morte è l’unica via di uscita dagli schemi. “7 Deaths of Maria Callas” è un’opera multimediale che unisce video e performance dal vivo. Lo spettacolo è una coproduzione internazionale tra il Teatro di San Carlo, Bayerische Staatsoper, Deutsche Oper Berlin, Greek National Opera Athens, Liceu de Barcelona, Opéra National de Paris. Le interpretazioni della Callas rivivono nel corpo e nei movimenti di Marina Abramović e nella voce di sette grandi interpreti: Annalisa Stroppa (Carmen), Valeria Sepe (Floria Tosca), Nino Machaidze (Desdemona), Jessica Pratt (Lucia Ashton), Roberta Mantegna (Norma), Kristine Opolais (Cio-Cio-San), e Selene Zanetti (Violetta Valery). Marina Abramović firma regia e scene, Marko Nikodijević è autore delle musiche originali; dirige Yoel Gamzou. Belli i costumi di Riccardo Tisci, la regia video di Nabil Elderkin. Protagonista in video Willem Dafoe, il cattivo che elimina la Callas, impersonata dalla Abramović, nei sette finali d’opera. Lo spettacolo di Napoli è molto diverso da quello di Parigi e Monaco. “Amo il San Carlo, amo Maria Callas e amo Napoli – spiega l’artista - mi piace la passionalità e l'energia di Napoli, la mentalità con cui affronta le sfide della vita. Ho un sodalizio artistico molto consolidato con Napoli fin dagli anni ’70 - questa città mi ha sempre dato la possibilità di presentare lavori che sono diventati capisaldi della mia carriera. Voglio avvicinare un pubblico giovane. La mia storia con la Callas inizia molti anni fa, quando avevo 14 anni sedevo nella cucina di mia nonna che aveva sempre la radio accesa: tra belle e cattive notizie, musica folk, musica classica, ad un certo punto ascolto una voce: ricordo di essermi alzata in piedi ed essermi messa a piangere. Non avevo idea di chi fosse quella voce, era una voce di donna e lo speaker disse che si trattava di Maria Callas. È stata la prima volta che l’ho ascoltata e ricordo la mia reazione di profonda emozione a quel canto. E il resto è storia. Più avanti ho trovato tante similarità tra la mia vita e la vita della Callas. Entrambe abbiamo avuto madri forti, estremamente ambiziose, che un po’ ci hanno rubato l’infanzia spingendoci verso la nostra carriera. E poi il suo grande sentimento per Onassis, il suo grande amore, fino alla morte di crepacuore. Nella mia vita è successo qualcosa di simile, il mio lavoro mi ha salvata”. La vita della Callas è stata leggendaria come la sua arte. Nessuno meglio di Abramović può raccontarne le celebri interpretazioni, artista icona della performance art che stupisce sempre coinvolgendo sempre lo spettatore in eventi interattivi e di forte impatto emotivo. Esplorando i suoi limiti fisici e mentali, Abramović ha sopportato il dolore, il pericolo, sfidato la morte, -taglio2-come nella performance “Rhytm O” che tenne alla Galleria di Peppe Morra, a Napoli, nel ’74, passiva e immobile per sei ore a disposizione del pubblico. “7Deaths” unisce voce fuori campo e canto lirico, musica, coro femminile, video proiettati su un maxischermo sul fondo scenico, un’installazione in pedana, con Abramovic immobile a letto e sette morti. Tante, inquietanti nubi in proiezione fanno da sfondo al dramma. Abramovic, nei video, è Violetta in “Traviata” che muore di tubercolosi, sul canto dell’ “Addio del passato”; è Floria Tosca che fa “jumping” estremo da un grattacielo nel “Vissi d’arte”, schiantandosi su una berlina; è Desdemona strangolata da due serpenti durante l’ “Ave Maria” dall’ “Otello”; è Madama Butterfly che muore per contaminazione nucleare, è Carmen che muore, legata e pugnalata, mentre intona l’habanera vestita da toreador; è Lucia che, nella celebre aria della follia, si taglia con lo specchio; è Norma che muore tra le fiamme cantando “Casta diva”, assieme al suo Pollione, eccellente Dafoe, vestito e truccato come lei. Brilla la Lucia Asthon di Jessica Pratt, applaudita a scena aperta, per aderenza al ruolo, virtuosismi, sapienza dei fiati. Dopo un breve stacco l’epilogo, con la meticolosa ricostruzione della stanza della Callas nel lussuoso appartamento in Avenue Georges Mandel 36: prima di morire, quel 16 settembre 1977, la Divina sfoglia gli album di foto, getta un vaso di fiori sul pavimento, apre la finestra per fare entrare l’aria di Parigi, un ultimo soffio di vita. Ed elenca, morente, i nomi a lei cari. Con il letto infine vuoto, entrano sette domestiche, sempre tutte a rappresentare Bruna Lupoli, che velano di nero tutti gli arredi. Entra sul proscenio Abramovic/Callas in abito d’oro di lamè (belli i costumi di Riccardo Tisci) sulle note di “Casta diva”, la celebre aria che più rappresenta il soprano greco. Yoel Gamzou dà il massimo con le suggestive, evocative musiche originali di Marko Nicodijevic, bravo il coro sancarliano. Abramović invita il pubblico ad “appoggiare una mano sulla spalla di chi avete accanto, chiudere gli occhi e pensate a questa guerra, al popolo ucraino”. Lunghi applausi per le interpreti in scena e per lei, brillante regista e interprete, performer unica. L’artista ha anche inaugurato, il 18 maggio, la sua esposizione nella Galleria di Lia Rumma a Napoli – per lasciare nuovamente il segno forte, rivoluzionario, con la sua arte totale che abbraccia la morte per parlare dell’anima.