Il doppio di Napoli
Un film che farà di certo molto discutere e aprirà un vero e proprio dibattito politico-sociale: “Caracas” arriva nelle sale pronto per fare rumore
Marco D'Amore da molti viene riconosciuto principalmente come attore, specialmente per il ruolo che lo ha reso noto al grande pubblico nella serie di successo “Gomorra” nella quale ha interpretato Ciro l’immortale; ma Marco D’Amore è molto di più: regista, produttore, scrittore e sceneggiatore. -taglio- Ha frequentato la Scuola d'arte drammatica Paolo Grassi di Milano, dove si diploma nel 2004; seguono varie esperienze teatrali, tra cui si ricordano quella con la compagnia di Elena Bucci e Marco Sgrosso “Le Belle Bandiere” e quella de “La trilogia della villeggiatura”, con Toni Servillo. Nel 2005, con Francesco Ghiaccio, fonda la compagnia di produzione teatrale e cinematografica “La Piccola Società” con la quale, nel corso degli anni, ha prodotto, diretto e interpretato quattro spettacoli teatrali e due cortometraggi entrambi in concorso al Festival del Cinema di Torino. Quello con Toni Servillo è stato l’incontro che ha cambiato la sua vita, proprio come racconta in questa intervista, infatti i due hanno poi collaborato in diverse produzioni tra cui quella che uscirà al cinema il prossimo 29 febbraio intitolata: “Caracas”. La pellicola, diretta e interpretata da Marco D'Amore è tratta dall'opera letteraria “Napoli Ferrovia” di Ermanno Rea. Giordano Fonte – Toni Servillo ndr. - è uno scrittore partenopeo che si aggira in una Napoli ove regna sovrana la dualità: città affascinante ma piena di pericolo, una città che lo stesso scrittore fatica a riconoscere dopo tanti anni passati fuori dal capoluogo campano. Altro protagonista è Caracas – Marco D’amore ndr. - un uomo che milita nell’estrema destra e che sta per convertirsi all’Islam, alla ricerca di una verità sull’esistenza che non sa trovare. Sarà un avvenimento in particolare a far incrociare le vite di questi due personaggi, i quali costruiranno insieme un percorso che li segnerà per sempre. Noi di Albatros abbiamo incontrato Marco D’Amore durante le giornate Professionali di Cinema, per farci raccontare com’è nata l’idea di portare al cinema la storia di Caracas. A fine mese uscirà nelle sale “Caracas” un film che, come lei stesso ha dichiarato, l’ha messa alla prova più del solito e nel quale interpreta l’omonimo protagonista. In che modo si è preparato ad interpretare questo ruolo? “È necessario fare una premessa prima di rispondere a questa domanda; quando capita che io sia regista ed interprete di un film faccio un grande lavoro su me stesso per scindere i due ruoli. Ovvero, il Marco regista non può influire su quello attore perché altrimenti l’interpretazione ne risentirebbe e viceversa; negli anni ho imparato bene a dividere queste due figure e spero che alla fine il risultato sia valido anche per chi guarda oltre che per noi addetti ai lavori. Detto ciò, Caracas è un personaggio con il quale ho poco in comune a livello caratteriale, in quanto io sono una persona estremamente socievole e invece lui è un lupo solitario e così per meglio immedesimarmi nella solitudine di Caracas, pronto a tuffarsi nella religione alla ricerca di un senso e di un’identità, ho frequentato per mesi la Moschea Zayd Ibn Thabit, vicino a piazza Mercato, a Napoli. Ho imparato a fare le abluzioni prima di entrare, ad aspettare l’Adan, il canto del muezzin che preannuncia l’ora di preghiera, a rispettare il ramadan, il mese di digiuno, inginocchiarmi sui tappeti in velluto amaranto con il volto rivolto verso la Mecca. E ho approfondito le ragioni che possono spingere un occidentale come lui a cercare rifugio nella religione musulmana. Cosa meno insolita di quanto si possa immaginare.” E cosa è emerso? “È venuto fuori che a Napoli il fenomeno della conversione assume dimensioni piuttosto rilevanti: si stima che, ogni giorno, siano almeno sette i napoletani che si convertono. Ho incontrato i locali, ho parlato con loro, ne ho scritturati un po’ come comparse e mi sono scusato con gli altri per l’invadenza che la macchina da presa avrebbe creato. La reazione di queste persone è stata sorprendente. Questa Napoli, che non ha niente a che fare con ciò che della città siamo abituati a immaginare – Chiaia e Posillipo o la disperazione di Secondigliano e Scampia – questa Napoli, dicevo, ci ha accolto. E io ho cercato di renderla esattamente così sullo schermo, quasi irriconoscibile.” Quindi potremmo quasi definirla una Napoli inedita? “Assolutamente sì! In questo film la città si trasforma quasi non sembra di essere nel capoluogo partenopeo. Una Napoli fatta di persone che vengono da ogni angolo del pianeta e che ha questo strato ancora sconosciuto e tutto da scoprire.” Al suo fianco ha avuto il maestro Toni Servillo, perché ha pensato proprio a lui per interpretare Giordano? “E chi avrebbe potuto se non lui? – ride ndr. – con il maestro abbiamo collaborato più volte ed ogni occasione è buona per poter imparare qualcosa in più da lui. È una persona incredibile ed un professionista ‘spontaneo’, come lo definisco io. Toni riesce a far sembrare facile la recitazione, è una cosa che gli viene naturale. E poi ammetto di aver scritto la sceneggiatura pensando già a lui, mi sono preso un rischio bello grosso poiché se mi avesse detto di no non so chi sarebbe riuscito ad interpretare quel ruolo come lo volevo io!” C’è un messaggio in particolare che desidera la gente colga dopo aver visto questo film? “Potremmo parlarne per ore; però dovendo dare una risposta sintetica posso dire che spero di riuscire ad infondere quanta ricchezza e bellezza c’è nella diversità. O meglio, spero che si possa anche solo smussare (che è un inizio) la montagna di pregiudizi con cui è avvolta questa comunità e questa religione. Le persone stanno perdendo il senso di umanità quindi anche attraverso il cinema possiamo e dobbiamo far riflettere.”