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LAZZA

di Laura Fiore

Numero 234 - Ottobre 2022

Un artista che non le manda a dire, grazie al successo del suo ultimo album si è ufficialmente consacrato come il miglior rapper italiano della Gen Z


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È uno degli artisti più interessanti degli ultimi anni, uno che non ha paura di dire la “sua” non solo attraverso i testi dei suoi brani, Lazza è senza ombra di dubbio uno degli emblemi della nuova generazione di rapper italiani. L’artista milanese, infatti, solo negli ultimi mesi ha collezionato un record dopo l’altro facendo ballare milioni di persone ad ogni suo concerto. -taglio-E pensare che prima di arrivare alla notorietà odierna, Lazza è stato “fermo” musicalmente per ben tre anni prima poi del suo debutto e della conquista del grande pubblico con “Re Mida”, un successo da 2 platini e con un tour che ha registrato il tutto esaurito. Da questa estate invece, precisamente dallo scorso 12 agosto, il suo ultimo lavoro discografico “Sirio” è ufficialmente l'album con più settimane alla n. 1 degli ultimi dieci anni. Noi di Albatros l’abbiamo incontrato tra una data e l’altra del suo tour, per conoscere meglio il processo evolutivo che c’è stato artisticamente e personalmente nella vita di Jacopo Lazzarini. Partiamo subito dal tuo ultimo album “Sirio”, com’è nata l’idea del disco e qual è stato il lavoro che hai fatto prima di capire che fosse finito e pronto per essere ascoltato? “In realtà fino ad ora non ho ancora mai provato la sensazione che un mio album fosse ‘pronto’, però diciamo che quando all’ascolto finale provo un forte senso di appagamento allora vuol dire che in qualche modo ‘ci siamo’. In ogni caso a parte il prezioso lavoro fatto in studio insieme a tutto il mio staff, ogni mia canzone nasce dall’esperienza, cioè non sono uno di quegli artisti che si chiudono in casa a scrivere, io ho bisogno di stare a contatto con le persone, di girare, viaggiare, conoscere. Inoltre non smetto mai di scrivere, scrivo appena ho qualcosa da dire. Scrivo sul telefono, su carta. Però sono molto disordinato, mi perdo le cose in giro. Anche per questo scrivo e registro subito.” Come mai hai scelto questo titolo? “Il nome ‘Sirio’ è stata una vera e propria illuminazione cui attribuisco due significati: il primo è quello rap della stella più luminosa di tutte, però c'è anche l'altro lato della medaglia. Pensa quanto è difficile brillare quando sei solo. Sirio la vedi nel cielo: se non ci sono stelle, lei c'è. Quanto è sbatti? Io mi sono sentito solo parecchie volte in questi due anni. Non capivo. Io sono un animale da palco, per me è fondamentale portare la musica live. Cosa che molti miei colleghi, sia più grandi che più piccoli, non sono in grado di fare. Io faccio questo lavoro per suonare dal vivo. Come fai a viverti male il fatto che c'è della gente che sta pagando per vederti dal vivo? Probabilmente in una serata stai prendendo quello che prenderebbe mio padre in metà anno di pensione: vedi di meritartelo!” Spesso sei stato criticato per i temi trattati nei tuoi brani sempre molto provocatori e con un linguaggio forte, che cosa ne pensi a riguardo? “Molte persone fanno difficoltà a riconoscere la realtà dei fatti. È vero, sono sempre volutamente provocatorio, ma è la quotidianità che vivo io come tutti i ragazzi della mia età e le persone che ascoltano la mia musica. Quindi perché dover sempre rendere tutto più ‘dolce’, io sono una persona schietta, sensa peli sulla lingua.-taglio2- E poi, in realtà, molti dei brani presenti in quest’album per me sono dei pezzi love, nonostante siano carichi d’odio, ma è il mio modo di vivere e vedere le cose. Sono fermamente convinto che nell'odio c'è amore e viceversa, è un po' come lo Yin e lo Yang: la mia è la parte nera dello Yang.” Hai più volte dichiarato di essere molto esigente con te stesso… “Sì, diciamo che sono proprio molto severo con me stesso. A parte una questione proprio caratteriale, sono un perfezionista, un pignolo, il mio essere severo è dovuto al fatto che prima di abbracciare il rap ho fatto studi classici al conservatorio. Lì la disciplina e la perfezione erano all’ordine del giorno, e ancora adesso resto un artista e una persona molto attenta ai dettagli. Inoltre, non nascondo che ancora adesso non escludo una possibile carriera da pianista, diciamo che non mi precludo nessuna strada… cerco sempre di seguire il mio istinto e quello che mi piace fare, però, sempre con il massimo impegno e professionalità.” Quindi com’è nata la passione per il rap? “In generale io amo la musica, mi piacciono gli artisti più disparati e dipende molto dal mio mood del periodo: sono in grado di ascoltare Vivaldi appena sveglio e invece la sera mi spacco i timpani con i Metallica perché magari qualcuno mi ha fatto incazzare! In mezzo a tutto questo mix ovviamente c’è anche il rap. Mi piace molto Kayne West, trovo sia un genio ed anche se è molto presuntuoso sapeva già che era destinato ad eccellere. Quando nel documentario va da giovanissimo negli uffici delle major a far ascoltare i suoi pezzi, mi ha ricordato quando io mettevo i miei primi pezzi nelle cuffiette dei miei amici per fargli ascoltare i miei brani.” E quali erano le reazioni? “Alcuni di loro, che sono attualmente i miei migliori amici, mi dicevano che era roba che poteva andare e che come me non ce n’era fino a quel momento. Sono sempre stati miei grandi fan, mi hanno sostenuto fin dall’inizio e non mi hanno mai abbandonato. Ancora adesso se suono a Milano in locali diversi sono lì a farsi tutte le serate!” Quale pensi sia stato il segreto del tuo successo? “Non so dare una risposta a questa domanda, le motivazioni potrebbero essere molteplici. Di una cosa, però, sono certo: devi avere fame, non metodo. Io ho rischiato tutto per fare questo. Ero consapevole che prima o poi da qualche parte sarei arrivato. Te lo dico senza spocchia. Ho fatto troppi sacrifici per non arrivare da nessuna parte e non ho timore di dire che me lo sono meritato! Ci sono tanti miei colleghi che non hanno dovuto fare la gavetta e semplicemente sono esplosi..beh, sai cosa penso? Il cavallo vincente si vede nel finale… quindi diamo tempo al tempo!”





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