Il pianista Francesco Libetta protagonista di un bellissimo recital in Villa Pignatelli a Napoli per la rassegna “Maggio della Musica”
Per il sesto appuntamento della rassegna “Maggio della Musica”, realizzata in collaborazione con la Direzione regionale Musei Campania e la direzione artistica di Stefano Valanzuolo, grande evento è stato il recital del pianista Francesco Libetta, nell’amena cornice di Villa Pignatelli a Napoli. Definito dal critico musicale Paolo Isotta «il più grande pianista vivente», -taglio- Libetta ha proposto un programma che spaziava dal romanticismo alla rutilante modernità del primo Novecento, per terminare con la visionaria Sonata op. 109 di Beethoven. In apertura ha eseguito quattro “Romanze senza parole” di Mendelssohn, dalla cantabilità delicata e affabile, rilette con gran gusto, esaltandone la miniatura perfetta (op. 53 n. 2 e op. 62 n. 6, “Canto di primavera”), la sottile trama dialogica (“Duetto” op. 38 n. 6), lo spumeggiante virtuosismo (“La filatrice” op. 67 n. 4). Seguiva un più ampio e denso excursus chopiniano, avviato dalla celebre prima Ballata in sol minore op. 23, nel suo respiro epico e narrativo: sfrondata dei toni magniloquenti e di un pianismo di facile effetto, questa intensissima pagina ritrovava un suo splendore originario, che ne valorizzava la singolarità di una concezione formale in continuo divenire: il suo incedere solenne si distendeva come il racconto favoloso di un’antica leggenda, sullo sfondo di una inaudita tensione armonica che sfociava nel travolgente “Presto con fuoco”, eseguito con un impeto incontenibile. Allo stesso modo, i primi due Studi dell’op. 25, nella loro relazione e contrapposizione tonale, sublimavano il mero dato tecnico in pura poesia, fra eleganti screziature nelle parti interne e raffinata ricerca timbrica; mentre richiamava potenti sonorità sinfonico-corali il monumentale terzo Scherzo in do diesis minore op. 39, nel suo invincibile dualismo fra apoteosi strumentale ed estasi contemplativa, estremo saggio di un’arte pianistica che trascende sé stessa.-taglio2- “Sonata di guerra”, invece, la scintillante Settima di Prokofiev, nella sua ambiguità celebrativa di un regime e della vittoria contro l’invasore, premiata da Stalin in persona nel 1943: in realtà irriducibile manifestazione di una poetica anticonvenzionale, in bilico fra il grottesco e il sublime: affrontata da par suo, Libetta ne sbalzava energicamente i laceranti contrasti, dall’irrequietezza iniziale all’atmosfera ironica e avvolgente dell’Andante caloroso, per esplodere nel vortice tumultuoso e ossessivo del Precipitato finale. A dispetto della cronologia, il tutto sembrava convergere e riassumersi nell’ineffabile terz’ultimo capolavoro per pianoforte del grandioso ciclo beethoveniano, che risale al 1820: nella sua assoluta libertà di forma e di invenzione – qui più che mai vale la denominazione di sonata-fantasia – si condensava e trovava la sua ragion d’essere tutto il percorso fin qui compiuto, che si chiariva e si illuminava alla luce di una logica interna superiore e ideale: dal carattere improvvisativo del primo movimento (Vivace ma non troppo), al piglio eroico del secondo (Prestissimo), ovvero segnatamente in quell’espandersi e nel trasumanarsi metafisico di un semplice tema cantabile, dimesso e quasi scolastico nella sua regolarità, che sono le sei variazioni dell’Andante dell’ultimo movimento, era tutto un trascolorare e un avvicendarsi meraviglioso di sortite e sospensioni, un rigenerarsi e un modificarsi su sé stesso anche del più piccolo elemento, di una pausa, di un singolo suono, fino a raggiungere la pura bellezza della forma. Applaudito calorosamente, Libetta si è congedato con due celebri valzer di Chopin, op. 64 n. 1 e n. 2, eseguiti senza corse “di un minuto” e inutili fronzoli da dilettante, bensì con la grazia e la più grande semplicità del vero artista.