I bisogni primari dell’uomo dall’inizio della sua apparizione sulla terra non sono cambiati. Per noi oggi soddisfare questi bisogni come procurarsi da bere e mangiare, coprirsi adeguatamente, avere un posto idoneo dove ripararsi dal freddo o dal caldo, oltre al bisogno di sicurezza, ossia difendersi dagli animali o dalle calamità, è un fatto normale, tanto da non riuscire concretamente a immaginare quanto possa essere stato complicato per i nostri progenitori soddisfare questi bisogni fondamentali.
Ma, a quei tempi, anche riuscire a garantire i bisogni primari lasciava irrisolto il problema della sopravvivenza, giacché per continuare a vivere significava anche non ammalarsi o guarire dai malanni. Le malattie potevano essere la conseguenza di eventi traumatici, come ferite riportate durante gli scontri bellici, o derivare dall’aggressione di animali o da cadute accidentali o da infortuni durante l’attività lavorativa, per le donne potevano provenire anche dal parto. A queste patologie si aggiungevano tutte le altre malattie relative ai vari organi e apparati, oltre a quelle genetiche e quelle causate da virus e batteri. Le malattie infettive rappresentavano una tragica calamità favorita anche dalla mancanza di igiene.
Trovare cure efficaci per tante malattie a quei tempi era impossibile. Se ancora oggi molte patologie restano senza una cura, e di molte malattie non conosciamo nemmeno l’eziologia, agli albori della vita dell’essere umano la situazione doveva essere oltremodo drammatica.
Allora come potevano difendersi i nostri antenati da tante malattie? Non potevano fare altro che mettere in atto le poche risorse allora utilizzabili. Ora se consideriamo che per medicina intendiamo lo studio, la prevenzione e la cura delle malattie, e teniamo presente che lo studio scientifico e sistematico delle malattie e la ricerca di farmaci efficaci sono iniziati solo da pochi secoli, ci rendiamo conto come ai nostri avi non restava che affidarsi a personaggi che non erano medici, come li intendiamo oggi, ma che promettevano comunque di ridare la salute. Pertanto, se medicina significa anche cura, ossia qualsiasi procedimento efficace messo in atto per eliminare un processo morboso, si comprende perché i primi a impegnarsi a combattere i malanni non furono i medici, che non esistevano ancora, ma i sacerdoti, i maghi e gli sciamani, che ritenevano le loro pratiche valide non solo a curare e ridare la salute, ma idonee anche a tenere lontano dalla comunità epidemie e calamità naturali. È bene ricordare che molte malattie erano ritenute un castigo divino.
Così i sacerdoti si impegnarono a rendere propizi gli dei con preghiere, offerte e sacrifici.
La medicina sacerdotale dell’uomo primitivo serviva a rendere benevolo il dio verso gli ammalati e verso la comunità. I nostri antenati credevano molto in queste divinità e nella loro protezione, per questo seguivano con il massimo scrupolo le pratiche dei loro sacerdoti. Le testimonianze di questo modo di affrontare la cura delle malattie non mancano e sono basate anche su numerosi reperti archeologici. Placare l’ira del dio con preghiere e sacrifici per renderlo benevolo verso il malato che lo supplicava poteva favorire il recupero della salute. Ai sacerdoti si affiancarono i maghi con la loro arte magica, e gli sciamani ritenuti dei guaritori. Entrambi credevano di poter intervenire per favorire la guarigione delle malattie. Le prove di riti propiziatori non mancano, c’è anche tutta una interessante letteratura in merito e ci sono importanti studi antropologici anche su popolazioni scoperte recentemente. Certamente qualche guarigione sacerdoti, maghi e sciamani l’avranno ottenuta con le loro preghiere, i loro intrugli e le loro pratiche. In questo caso è molto probabile che possa trattarsi anche del cosiddetto effetto placebo, ossia quello di ottenere un risultato favorevole, come una guarigione o la diminuzione del dolore, con una sostanza o un trattamento privi in realtà di effetti terapeutici.