Il valore della Solidarietà negli scrittori della Letteratura latina
Una delle frasi più famose della storia del Novecento è “Non chiederti che cosa può fare il tuo Paese per te, chiediti invece che cosa puoi fare tu per il tuo Paese": essa fu pronunciata da John Fitzgerald Kennedy il 20 gennaio 1961, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca. -taglio-Solidarietà, impegno di ognuno, aiuto ai bisognosi di aiuto: in una parola, restare uniti, come recita la regola dell’emergenza che stiamo vivendo in questi tempi cupi di “COVID19”. Nobili parole, queste, che -se compiamo un viaggio nel Mondo antico- ritroviamo già proclamate dai grandi scrittori latini.
I saggi della “Caput mundi” innanzitutto fondarono un tipo di società del Bene comune, in cui realizzare le virtù e i valori che abbiamo enunciato: lo “Stato” veniva indicato nell’antica Roma con l’espressione “Res publica”, letteralmente “la Cosa pubblica”. E la giurisprudenza e la filosofia della politica romana hanno tramandato al Repubblicanesimo moderno un concetto ancora valido della democrazia, che si fonda sulla libertà, sulla giustizia e sulla solidarietà. Infatti, a Roma il semplice cittadino poteva far ricorso al giudizio dei “Comizi”, quando aveva il sospetto che un magistrato avesse commesso un’ingiustizia verso di lui. Cicerone e Tacito (l’uno in epoca repubblicana, l’altro nell’era imperiale) erano concordi nel ritenere adatta al popolo romano una costituzione repubblicana. Anche se, naturalmente, si rendevano conto dei rischi della degenerazione del potere delle masse.
In questa società antica, in cui il potere era “cosa pubblica”, l’uomo doveva preoccuparsi della sorte dell’altro. Analizziamo due frasi celebri di scrittori latini.La prima è tratta dalle “Epistole” di Orazio: “Tua res agitur, paries cum proximus ardet” -taglio2- (“E’ una cosa che ti riguarda, quando brucia la casa del vicino”): cioè quando il fuoco è arrivato alla casa del tuo vicino, non puoi non preoccuparti: il destino tuo è intimamente legato al suo. Virgilio, poeta sensibile, esponente finissimo dell’humanitas latina, riprende questo concetto e soprattutto la metafora della casa che brucia nell' ”Eneide”. Nel II libro (vv. 311-312) si fa riferimento a un personaggio poco noto: Ucalegonte, che è un vecchio compagno di Priamo. La sua casa, che si trova vicino a quella di Enea, nella notte della caduta di Troia, viene incendiata dal fuoco delle fiaccole greche e sta per essere rasa al suolo, crollando addosso al vegliardo troiano. Virgilio, raccontando l’incendio della città, dice, quasi preoccupandosi dal punto di vista di Enea: "Già arde lì accanto Ucalegonte". E così fa capire che l’anziano è perito nel rogo della sua abitazione, il quale tra poco toccherà la casa di Enea.
L’altra frase è “Homo homini deus” (“L’uomo è un dio per l’altro uomo”), che, enunciata paradossalmente da uno scrittore comico, Cecilio, si diffuse ben presto in una vasta cerchia di intellettuali romani, tra cui Cicerone prima e Plinio il Vecchio dopo, il quale la ampliò, annotando nella sua meravigliosa “Storia naturale”, la Treccani dell’Antichità: “Divino è per il mortale aiutare l’altro mortale: questa è la via per la gloria eterna”. Una frase, detta da un pagano, ma che anticipa mirabilmente il messaggio cristiano.