La musica come mezzo per ritornare a noi stessi, è questo il messaggio di Roberto Cacciapaglia che tra un concerto e l’altro ha scambiato qualche battuta con noi di Albatros
“DIAPASON” (Believe Distribution Services), è il nuovo disco di inediti di Roberto Cacciapaglia registrato con la Royal Philharmonic Orchestra negli Abbey Road Studios di Londra, uscito lo scorso 18 gennaio anche in versione vinile. In “DIAPASON”, Roberto Cacciapaglia continua la sua ricerca tra sperimentazione elettronica e tradizione classica, di una musica senza confini, dove l’architettura sonora incontra la melodia, veicolo delle emozioni sin dai tempi antichi del mito di Orfeo. Nella Tracklist c’è “Innocence”, che presenta un testo di William Blake ed altri due brani cantati: “A Gift”, da un poema del Mahatma Gandhi, e “The Morning is Born Tonight”, ispirato a Martin Luther King. Compositore e pianista, Cacciapaglia è protagonista della scena musicale internazionale più innovativa per la sua musica che integra mondi completamenti diversi tra loro, dal classico al rap passando per l’elettronica. Inoltre, da lungo tempo conduce una ricerca sui poteri del suono, nella direzione di una musica senza confini che si esprime attraverso un contatto emozionale profondo. Negli anni, Roberto Cacciapaglia ha presentato le proprie composizioni nei teatri più prestigiosi e per le istituzioni più famose in Italia e nel mondo, riscuotendo sempre un grande successo nelle sue esibizioni dal vivo. Fondatore della Educational Music Academy, Accademia musicale che nasce con l'obiettivo di dare voce ai giovani talenti musicali, compositori e interpreti, pianisti e musicisti, affiancandoli per realizzare i loro progetti a livello professionale.-taglio-
Iniziamo subito dal tour che ha fatto negli Stati Uniti, che esperienza è stata?
“Come prima cosa, devo dire che l’accoglienza è stata trionfale da parte del pubblico americano; tutte le date si sono concluse sempre con più di una standing ovation, segno quindi di grande apprezzamento. In quei momenti mi sono sentito fortemente legato al pubblico. È stata questa la prima volta che mi affacciavo negli States con un tour così lungo e con una musica che le persone non conoscevano; ma ho constatato che c’è una certa sintonia tra me e l’America, infatti, tra le nostre vendite gli Stati Uniti sono al primo posto. Anche stavolta da un lato torno all’idea primordiale del suono e della purezza, e dall’altra creo un’espansione di questo suono e delle sue potenzialità.”
A dieci anni dall’uscita dello storico album “Quarto tempo”, ritorna con una versione inedita e straordinaria, “QUARTO TEMPO – 10th Anniversary Edition”, come mai questa scelta?
“ ‘Quarto tempo’ è stato un lavoro molto importante per me, perché è stato il primo cd realizzato con la Royal Philharmonic Orchestra, cui sono seguiti altri quattro lavori. Con questa orchestra è nato un sodalizio profondo e duraturo. Inoltre ‘quarto tempo’ nella definizione mia della musica, è quell’istante in cui perdiamo la concezione di passato e presente e futuro e ci apriamo attraverso il suono, a quell’istante che ci appartiene. Tutti noi nella vita, prima o poi, abbiamo provato un istante del genere, in cui perdi la cognizione ed entri in un mondo dove la quotidianità è diversa. Io, per esempio, da bambino mi ricordo che mi bastava un profumo per avere questa sorta di trascendenza, poi però è una cosa soggettiva. Il suono può attivare questo ricordo, questo ritorno a sé stessi, all’essenza. Ci sono persone che vedono e vogliono che la musica sia un mezzo, una via per toccare dentro sé stessi delle parti che, in questo mondo caotico, abbiamo meno tempo di -taglio2-avvicinare e che invece sono parte di noi.”
La sua musica integra tradizione classica e sperimentazione elettronica, com’è riuscito a trovare il giusto equilibrio?
“Per rispondere devo per forza fare un passo indietro, a quando tutto è cominciato. Ho iniziato a suonare il pianoforte a 4 anni, e fino agli 11 è stata per me una grande pena perché in realtà non mi piaceva molto prendere lezioni di piano, volevo giocare fuori con gli amici! Così sono riuscito ad insistere talmente tanto con mia madre, che devo dire è stata una donna eccezionale, era lei a indurmi alla musica, ed ho smesso. Lei non ha fatto una piega e mi ha detto: ‘va bene, se non vuoi il piano almeno prova con la chitarra!’. Così è stato: era un periodo in cui iniziavano ad avere successo i gruppi tipo i Beatles, i Rolling Stone, per cui la musica diventava condivisione e riuscivo a viverla con più gioia e non più come un dovere. Da quel momento è stato amore folle per la musica; dopo un po’ di tempo nella band si è aggiunto l’organo, e tutti quelli che sapevano schiacciare una tastiera venivano messi a quello strumento. Da allora convivono le mie due anime: una che mi vedeva iscritto al conservatorio riprendendo così i miei studi, e l’altra che aveva voglia di sperimentare. L’equilibrio si è creato in maniera totalmente spontanea. Questa caratteristica me la sono portata fino ad oggi, infatti nel mio percorso ho lavorato con molti maestri e musicisti non solo della tradizione occidentale, ma con indiani, tibetani, indiani d’America... sono andato alla ricerca di una musica che andasse al di là delle barriere, delle gerarchie, una musica totale.”
Cosa le piacerebbe trasmettere con la sua musica?
“La cosa bella della musica è che non dà indicazioni, ma riesce ad unire le persone attraverso il suono. Diventa una condizione intima, perché ognuno ci mette quello che vuole, è un arte libera che ti libera."