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Il diritto di essere donna

di Livia Damiani

Numero 236 - Dicembre-Gennaio 2023


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In questo editoriale che ci traghetta verso il nuovo anno, desideriamo approfondire l’analisi del diritto di essere donna in Occidente, con l’intenzione di continuare ad analizzare, in seguito, le condizioni delle donne in altre parti del mondo, perché generalizzare a livello globale non è davvero possibile. -taglio-Da poco in Italia abbiamo la prima donna Presidente del Consiglio e già è stata criticata per aver portato con sé al G20 di Bali la propria figliola, come se per governare, per partecipare agli incontri con gli altri capo di stato si dovesse punire l’identità di madre. Personalmente non ci vedo nessun scandalo nel fatto che nonostante una donna abbia responsabilità ad alti livelli, in questo caso governativi, non si dimentichi della propria famiglia e del proprio ruolo di genitore. Per anni abbiamo dovuto subire il pensiero, del tutto maschilista, ma ahimè, sostenuto anche da alcune donne, che per raggiungere i vertici nei diversi settori della società si dovesse mortificare il proprio essere donna. Mortificare, ad esempio il proprio aspetto, perché meglio che una donna ai vertici sia quanto più possibile simile ad un uomo, o all’idea patriarcale del potere, mortificare il proprio essere madre, perché chi guida una nazione o una grande industria deve abbandonare la propria famiglia e non parliamo, poi, di una possibile gravidanza, ancora più scandalosa per i vertici. E’ come se il ruolo della donna di essere la procreatrice della continuazione della specie, dovesse mortificare tutto il resto. Non so se questo atteggiamento ha voluto fino ad oggi reprimere le ambizioni femminili, ma credo che sia arrivato il momento di evitare effimere valutazioni di genere e iniziare a pensare alla esperienza professionale, alle competenze, indipendentemente che si sia donne o si sia uomini, perché non è certo il sesso a determinare la qualità di ciò che si è e si sa fare, a determinare una corretta visione futura della società in cui si opera. Personalmente credo che dovremmo iniziare a considerarci degli esseri umani, che pensano, che producono, che interagiscono, che si impegnano, indipendentemente dal corpo, femminile o maschile che sia. -taglio2- E’ in questo contesto che va inserito il fattore “lessico di genere”, ovvero il ricorso al femminile, che diversifica i generi, caratteristica della lingua italiana, che è vista da alcuni come una contraddizione in termini e probabilmente lo è, ma per usare un rispettoso lessico di genere dobbiamo evolvere notevolmente la lingua italiana, che distingue genere femminile e maschile in modo netto. Il futuro ci potrà riservare un cambiamento linguistico che si ponga neutro sui generi? Possibile, ma fino a quel momento io punterei sul qualcosa di più concreto, perché nel mio ruolo in questa rivista, o mi chiamano direttore o mi chiamano direttrice, io sempre il mio lavoro svolgo e non mi sento depauperata della mia autorevolezza a dirigere questo magazine se declinano il mio ruolo al femminile. Perché se ben riflettiamo non è il genere a creare la discriminazione, ma l’intenzionalità con cui lo si declina sia che si tratti di discriminazione di genere sia che di tratti di altre discriminazioni. Ciò che invece ci dovrebbe preoccupare sono le storie e/o i fumetti che ci appaiono innocui e che invece non sempre raccontano narrazioni rispettose della parità di genere e con stereotipi, che non possono più appartenere al nostro secolo. Già nella seconda parte del secolo scorso è iniziato l’allontanamento, con lentezza ma con costanza, da una serie di retaggi culturali che ponevano la donna in una condizione di subordinazione, o addirittura di assoggettamento, rispetto all’uomo. Ecco perché è importante giungere oggi alla consapevolezza che le cose sono cambiate. Ed è In questa prospettiva che si pone anche la questione del cognome, perché se è vero che la famiglia e la relazione genitore-figlio dovrebbero fondarsi sull’amore, non è più possibile una dinamica di potere che concede ad un solo genitore di dare il cognome, senza una libera scelta di entrambi. E’ vero che se guardiamo ad altre latitudini, la donna occidentale ha conquistato molti diritti, e di ciò ne siamo fiere, ma la parità quella vera, quella che non deve più essere messa in discussione è ancora purtroppo al di là da venire.





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