Il dialogo La vita Beata di Sant’Agostino è dedicato a Manlio Teodoro, uomo di notevole prestigio politico e sociale, oltre ad essere “appassionatissimo della filosofia di Plotino”. Ma i suoi interessi non erano limitati alla filosofia, infatti sappiamo che si dilettava anche di fisica e di psicologia
Questo dialogo si svolge nel novembre del 386 a Cassiciaco, un paese vicino Milano, quando sant’Agostino era un retore non ancora battezzato. Il tema affrontato è complesso, si tratta della felicità. Tema che era stato oggetto di interesse di molti filosofi prima di Agostino, tra cui Aristotele che scrive di felicità nell’Etica Nicomachea. -taglio-Il dialogo si svolge nell’arco di tre giorni, inizia durante il banchetto per festeggiare il compleanno di Agostino e vede impegnati nella discussione i suoi parenti, i suoi amici e i suoi discepoli. Agostino introduce il discorso chiedendo se sono tutti convinti che noi siamo formati di anima e corpo. Tutti asseriscono di esserne convinti. A seguito di questa conferma, Agostino chiede se l’anima non debba essere nutrita come si nutre il corpo. Ancora una volta furono tutti d’accordo. Agostino a questo punto domanda: “E per quanto riguarda l’anima, non ha forse alimenti che le sono propri? Non vi sembra che il suo alimento sia la scienza?” . Monica, la madre del futuro santo, anche lei sarà santificata, conferma con decisione che il cibo dell’anima è la scienza, anche se Trigezio, un discepolo di Agostino, solleva qualche dubbio che viene dissipato durante il prosieguo della discussione. Superata questa fase, Agostino dichiara che: “Noi vogliamo essere felici”. Il dialogo continua su questa affermazione alla ricerca delle caratteristiche che bisogna avere per poter essere felici. Essere felici è ottenere ciò che si vuole? Chi ottiene ciò che vuole, però, non sempre è felice, mentre chi non ottiene ciò che vuole certamente è infelice. Quindi ottenere ciò che si vuole è una condizione necessaria ma non sufficiente per la felicità. Per essere sufficiente l’oggetto del volere deve essere disponibile e permanente, ovvero non deve mutare, non deve essere legato alla fortuna e deve essere indipendente dal caso. Da questa analisi deriva che è felice chi possiede Dio, l’essere per eccellenza immutabile.-taglio2- Solo chi cerca Dio e lo trova può essere felice. Ne deriva che chi non ha trovato Dio non potrà mai essere felice. È evidente anche che la persona indigente non potrà mai essere felice. Ma l’indigenza per Agostino non è solo rappresentata dalla miseria, ma anche dalla stoltezza. Cosa che fa notare Monica durante il dialogo. Lei afferma con decisione che la stoltezza è peggiore della miseria. Ne deriva quindi che chi è sapiente è felice, mentre chi è stolto in ogni caso è infelice. La felicità coincide quindi con la sapienza che è l’opposto della stoltezza, che rappresenta una indigenza dell’animo. Agostino tiene a precisare che la pienezza dell’anima non va intesa come un eccesso, ma come una misura, una moderazione. Ma da dove deriva questa sapienza che ci rende felici? Per Agostino non può che derivare da Dio. La Sapienza di Dio è il Figlio di Dio, come ci viene presentato dalle sacre Scritture, che oltre a rappresentare la Sapienza rappresenta la Verità. Quindi felicità significa pervenire tramite la Verità alla Misura suprema. Ora, che cosa noi dobbiamo chiamare sapienza, se non la sapienza di Dio? Ma noi sappiamo per rivelazione divina che il Figlio di Dio coincide con la Sapienza di Dio: e il Figlio di Dio è sicuramente Dio. Pertanto è felice chi cerca, trova e possiede Dio, ossia conosce la Verità. È questo un importante concetto in cui Agostino attesta che per essere felici abbiamo bisogno di essere sapienti, ossia conoscere la Verità, sapienza che ci viene direttamente da Dio attraverso suo Figlio e le sacre Scritture.