Immagini fatte di silenzi, di sguardi, di atmosfere oniriche, di lontane memorie, che si mescolano continuamente con le tracce delle Avanguardie storiche
Un realismo corroborato dal forte espressionismo, che si connota in una sorta di rivelazione del segreto di visibilità, di ciò che tutti pensano di vedere e finiscono per non scorgere nulla. Una simbologia complessa e variegata, frutto di un’identità culturale di un territorio, quello campano, che viene rappresentato in tutta la sua essenza e complessità. -taglio- Un continuo esercizio di memoria e di ricerca etno-antropologica, che si colloca all’interno di una dimensione senza tempo. Pittore, illustratore, scenografo, Gennaro Vallifuoco (1967, Avellino), si diploma all’Accademia di Belle Arti di Firenze (1990). Attualmente vive tra Avellino e Napoli, dove insegna Scenografia all’Accademia di Belle Arti. Sin dagli esordi collabora, come assistente, con grandi scenografi (Montresor, Mattioli) all’allestimento di spettacoli teatrali. Da un fortunato incontro (1991) con il Maestro Roberto De Simone, con il quale lavora alla riscoperta delle tradizioni popolari, nasce un lungo sodalizio artistico che darà inizio a numerose pubblicazioni editoriali (tra le quali “Fiabe campane”, “Lo Cunto de li Cunti” a cura di De Simone, editi dalla Einaudi), nonché singolari allestimenti teatrali (“Il Re bello”). Il pluridecennale connubio fra Vallifuoco e De Simone esprime e dimostra una indissolubile trasversalità tra le varie discipline artistico-culturali ed una indubbia validità della sperimentazione nei vari ambiti, solo in apparenza alieni l’uno dall’altro, ma uniti da una cifra comune: il Teatro. L’arte di Gennaro Vallifuoco, sensibile e vivace, si snoda lungo un percorso intrigante, tra opere oniriche e le infinite combinazioni cromatiche, tra suggestioni del subconscio e la ricerca della verità che attinge dal passato. La sua arte dotata di personalissima cifra, colma di teatralità, di interiori rappresentazioni mitiche, esoteriche, mescolate ad elementi stilistici provenienti dalle tradizioni sia popolari che colti, nel complesso desunti da un’antica tradizione mediterranea,-taglio2- meridionale, campana, comprende anche elementi storici della classicità greco-italica, quella medievale, quella barocca, fino al contemporaneo. La tradizione prerinascimentale e la metafisica di De Chirico, di Carrà e di Morandi rappresentano la fonte di ispirazione dell’Arista, nella cui ricerca stilistica ed artistica convergono svariati ambiti dell’espressività, ricercati con cura e profonda cultura, e adoperati con maestria e sensibilità di un alchimista, che “…lavora a specchio con la verità che gli danza nel cuore, mettendo al centro volti, figure, segni…che danzano su spazi smarriti o inquieti...” (Gerardo Picardo). Vallifuoco è affascinato dallo studio delle divinità pagane e della relativa simbologia, che scaturisce dai miti e dalle leggende campane. Cicli di opere dedicate alla divinità irpina di Mefite, alla Mater Matuta capuana, rileggono con un intento didattico-esplorativo le antiche fonti popolari, traducono in termini pittorici il potere positivo della rigenerazione della vita e del paesaggio, nelle stagioni umane, dalle tenebre alla luce, arricchendola di significati immutabili che sottendono allo scorrere del tempo e della storia, dando loro lo stesso valore istruttivo dei codici miniati della tradizione medievale. L’arte di Gennaro Vallifuoco racchiude in sé, una sorta di levità trasparente dell’immaginazione, diffonde la smisurata fantasia con tenerezza ironica e colta, attingendo alle svariate e ricche fonti, plebee ed aristocratiche, che diventano tratto iconico e caratterizzante di un personalissimo segno espressivo, funzionale al racconto. La sua cultura del dubbio, dell’incertezza, di una specie di fanciullesca incredulità, sempre manifestate in punta di piedi, lo portano lontano da ogni decoratività, virando sempre verso scenari pieni di serenità e verso un mondo pieno di sogni da coronare un giorno.