Tra solitudine e poesia
Incontriamo il celebre drammaturgo e regista, reduce dal successo del lavoro teatrale “La signora dei fiori di carta”
“La statua”, “Cravattari”, “Maddalena”, “Malacarne”, “Cuore nero”, “Lontana la città” sono lavori teatrali di Fortunato Calvino, celebre e pluripremiato drammaturgo e regista che racconta/denuncia una società malata, la violenza e l’ipocrisia in storie di disperazione. Diverse tesi di laurea sono state scritte su Calvino, anche da una studentessa dell’Université de Liège (“La camorra napolitaine dans l’ouevre de Fortunato Calvino”, 2013-2014). Meritati riconoscimenti per un autore che arricchisce il teatro e la cultura con la sua scrittura gettando preziosi semi nel futuro.-taglio- Come nasce “La Signora dei fiori di carta”? “Nasce come testo teatrale, dalla mia personale ricerca di personaggi unici e come omaggio a “’O Vico” di Raffaele Viviani. La signora narrata nel mio testo è realmente esistita nella storica via dell’arte presepiale: San Gregorio Armeno, cuore del Centro storico di Napoli. Salendo verso Piazza San Gaetano troviamo un classico basso-negozio, con cucina e soggiorno. Oltre che a viverci la signora vi lavorava, unica figura femminile dell’artigianato locale. All’ingresso del Terraneo sono esposti fiori di carta colorata molto apprezzati dal pubblico. Sapeva trasformare la carta ruvida in bellezza. La signora era sordomuta ma riusciva a comunicare con la gente. Da questa visione straordinaria nascono i miei racconti con lei, e con altre figure di personaggi vari, soprattutto gente del vicolo e passanti”. Passando allo spettacolo “Vico Sirene”, anch’esso è reduce da un successo straordinario e numerose repliche: non pensa di riproporlo? “Si. È un testo molto difficile con tematiche che attraversano un pubblico trasversale. “Vico Sirene”, parla dei “femminelli” napoletani e ispiratrice di questo mio testo è stata la Tarantina, figura straordinaria e memoria storica dei quartieri spagnoli dove tutt’oggi vive. Ha totalizzato oltre ottomila spettatori. È andato in scena, il 29 giugno 2023, al Campania Teatro Festival, poi al Bracco e al Troisi di Napoli, al Tasso di Sorrento, al teatro Comunale di Benevento e al teatro Barone di Melito. Protagonisti attori straordinari come Gigi & Ross, Ciro Esposito, Marco Palmieri, Luigi Credendino, Dario Di Luccio. Con lo spettacolo porto in scena l’umanità, la gioia e il dolore, i sorrisi e le pene d’amore dei femminielli, lontano dalla loro solita rappresentazione per far ridere. La scelta attoriale è stata molto attenta. Ho sentito il pubblico sorridere e partecipare. Con quel cast, l’organizzazione di Rosario Imparato, le musiche di Poalo Coletta, le scene di Clelio Alfinito, le coreografie di Erminia Sticchi, trucco e parrucche di Ciro Florio, costumi di Francesca Romana Scudiero, disegno luci di Francesco Adinolfi, si è creata una magia. Lo riprenderemo il prossimo inverno”. Quest’anno il suo pluripremiato e famoso lavoro “Cravattari” compie trent’anni, un grande lavoro visto da migliaia di studenti… Il buon teatro educa i giovani? “Si, sono trent’anni di repliche, di vari attori che si sono avvicendati nei ruoli. Ho girato anche la sua trasposizione filmica all’Accademia di Belle Arti. Da “Cravattari” in poi ho trovato la mia linea, la mia identità. Non era facile, tanti anni fa, portare in scena il tema dell’usura. Lo riporteremo nelle scuole il prossimo novembre e con mattinate a Sorrento. Bisogna educare al teatro, i giovani vanno preparati. Quando portai “Maddalena” con Progetto scuole a San Giovanni a Teduccio vidi piangere una ragazza. Così è accaduto con “Cravattari” a Scampia e a Casal di Principe dove tanti giovani mi hanno ringraziato. Occorre più teatro nelle scuole con professionisti e offrirgli tematiche importanti ma non cervellotiche. Quello che gettiamo è un seme”. Nel suo teatro tratta con rara profondità e sensibilità l’universo femminile. Da sempre ha denunciato, nelle sue opere, la violenza di genere… “Questo tipo di violenza ha una matrice culturale. Molte donne giustificano gli uomini violenti, non hanno la forza di ribellarsi. Occorre una presa di coscienza intellettuale del ruolo della donna. Il film della Cortellesi ha avuto molto successo. Anche il teatro può aiutare a stimolare la coscienza ma occorre compiere uno scatto ulteriore, aiutando soprattutto le donne più fragili che dipendono dall’uomo. A Sorrento presentiamo un racconto, interpretato da Roberto Fiorentino, che parla di un padre violento e di come all’improvviso, nell’apparente quiete familiare, irrompa la tempesta. Per me il ruolo della donna è a tutto tondo, complesso. Lo so bene, ho avuto molte figure femminili in famiglia: madre, sorella, zia…E sto scrivendo un altro testo sulle donne più spietate che crudeli…ma non anticipo altro.”