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Ewa Juszkiewicz

di Joanna Irena Wrobel

Numero 227 - Febbraio 2022

Affascinanti figure femminili senza volto, personaggi ibridi, che mescolano elementi di storia, di natura, di costume, producendo risultati visivi inaspettati. Dipinti dall’aspetto classico nel metodo e nella scelta del soggetto, sovversivi negli intenti e ribelli nel contenuto


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Affascinanti figure femminili senza volto, personaggi ibridi, che mescolano elementi di storia, di natura, di costume, producendo risultati visivi inaspettati. Dipinti dall’aspetto classico nel metodo e nella scelta del soggetto, sovversivi negli intenti e ribelli nel contenuto. Una pittura che evoca la grande tradizione ritrattistica europea, adottando appieno i suoi canoni stilistici: dal colore alla tecnica pittorica, dalla composizione calibrata alla ricchezza ridondante degli oggetti presenti. -taglio-Opere, che formalmente ricordano i ritratti del passato, ma sono caratterizzati da un forte elemento di rottura: la mancanza totale dell’elemento principale, il volto. Volto, che intenzionalmente viene coperto, celato sotto pesanti stoffe drappeggiate, nascosto da fitte composizioni vegetali, da maschere a forma di insetti giganti o da elaborate acconciature, che cancellano qualsiasi espressione facciale. Volto, che non esiste, che nega allo spettatore l’intima essenza della donna ritratta. Lavori sorprendenti, quelli di Ewa Juszkiewicz (1984, Danzica, Polonia), riportano immediatamente in mente le frasi di Ovidio sulla trasformazione, dove il concetto di “trasformazione” sottende il mutamento e il cambiamento radicale. Quel mutamento, che mette in evidenza il sofferto persistere della natura antica in quella nuova e diversa, frutto della metamorfosi stessa. La Juszkiewicz si confronta con la percezione stereotipata dello splendore di una donna, sperimentando forme nuove, in bilico sul confine tra ciò che è umano e ciò che è disumano. Scava costantemente nella memoria, portando in superficie rigidi codici, convenzioni cristallizzate, valutazioni errate, richiesti dal rango sociale, dal costume e dai canoni estetici dell’epoca. Sovvertendo la tradizione, l’Artista cerca di ricordare i secoli di cancellazioni, di privazioni, decostruire in modo inquietante ideali di bellezza e altri cliché comuni. Mira a sconvolgere abitudini consolidate, frantumare l’immagine uniformata e conservatrice della donna in essere, rendendo fluido il confine tra bellezza e bruttezza. Attraverso l’elaborazione dei dipinti classici, che rimangono sempre alla base di ogni sua opera, -taglio2-il loro significato subisce una netta variazione. Le nuove immagini diventano disturbanti, grottesche, inquietanti, che mescolati ad elementi tratti dalla natura, riescono paradossalmente a liberare l’espressione, l’emozione e la vitalità delle donne ritratte. Nella propria ricerca Ewa Juszkiewicz inserisce un elemento di mistero, di sorpresa, di gioco. Coinvolge lo spettatore nell’ intima e personale ricerca, sollecitando continuamente l’immaginazione di ognuno di noi volta a svelare il volto nascosto. Il linguaggio forte, ambiguo, denso, naturale, organico (come lo definisce la pittrice stessa) viene adoperato per raccontare storie sconosciute. I suoi ritratti ribaltano le convenzioni di genere. Alla base di ogni lavoro c’è l’idea di ottenere una somiglianza con una precisa opera storica, alla quale viene sostituito un unico elemento, quello del volto: un’operazione, una distorsione voluta, surreale, spiazzante. I risultati di questo processo narrano storie di altri mondi, ma non compromettono mai l’armonia estetica dell’immagine originaria. Molto interessante il ciclo di opere dedicate ai dipinti considerati scomparsi o perduti a causa dei furti, incendi o conflitti bellici. Utilizzando fotografie d’archivio, la Juszkiewicz ricrea “nuovi” originali, sostituendo colori, dettagli mancanti con le sue personali interpretazioni. Selezionando i soggetti in base alla loro nostalgica evocazione della propria perdita, intreccia il condiviso e il segreto, sottolineando la comunanza della memoria. Gli ultimi lavori, alcuni dei quali esposti in una recente mostra a New York alla Galleria Gagosian, l’Artista polacca tratta la figura femminile in modo quasi scultoreo. Assembla fragili corpi insieme agli intricati elementi composti da acconciature elaborate, mescolate alle foglie, fiori, rami, drappeggi aggrovigliati, dando vita a delle creature ibride in cui i mondi della natura e dei sensi si compenetrano e confluiscono in una sorta di esistenza parallela.





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