In primo piano rispetto agli orizzonti impietosi, agli aneddoti raccapriccianti e ai commoventi scenari capresi, va manifestandosi la frisson di Elisabetta, protagonista di un tessuto di vita e pagine che si affaccia sul vuoto. Lo spettro del vuoto, tanto per lei quanto per la nonna Lidia e la madre Giulia, rappresenta infatti un tema ricorrente: Elisabetta, come i suoi stessi amati Faraglioni, si scopre così figlia dell'instabilità, dell'apnea, del tormento. C'è, tuttavia, anche spazio per l'amore, l'amore per Zeno, narratore e narrato, auto-diegetico per metà, incompiuto cronico, poeta buono a nulla, coreuta della propria personalissima tragedia. "Elisabetta", del resto, è nientemeno che una tragedia: la tragedia di due innamorati, la tragedia di tre donne, la tragedia della Donna. In un susseguirsi di attimi immensi e rincorse al cardiopalma, va consumandosi la commovente storia dei due giovani, tra personaggi inquietanti e pittoresche macchiette, in un gioco di parti, luoghi, rimandi e stagioni.