L’ambiente sembra essere diventato più salubre, visto il lockdown causato dal Covid 19. Varie le tesi che affermano che il maggiore diffondersi del virus al Nord sia da correlare proprio all’inquinamento, sarà davvero così?
Le maratone televisive sul Coronavirus, cui stiamo assistendo restando a casa, ci hanno già proposto l’argomento, ma secondo noi, che secondo noi non è stato ancora sviscerato in modo sufficientemente esplicativo, ovvero: “La correlazione tra il diffondersi del Covid 19 e l’inquinamento”, proviamo ad approfondire l’argomento, per mettere meglio a fuoco tale correlazione. -taglio- La dott.ssa Ilaria Falconi, tecnico Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) e consigliere Sigea (Società Italiana di Geologia Ambientale), così spiega il possibile legame: “E’ un dato di fatto che il particolato atmosferico provoca, nei soggetti più fragili, infiammazione e irritazione dei bronchi. Eco perché si sono avviati studi e ricerche sulla relazione possibile tra l’alta concentrazioni delle polveri sottili e il numero dei casi di contagio da Covid-19, anche se tutto ciò è ancora da dimostrare, perché attualmente vi è solo una associazione numerica, in quanto essendo la Pandemia ancora in atto non è possibile fare stime corrette.” Altro fenomeno che si sta osservando dal Lockdown è chiaramente una diminuzione dell’inquinamento dell’aria ed anche delle acque, cosa di sicuro non negativa, ma al tempo stesso vista l’emergenza sanitaria vi è un grande aumento dei rifiuti sanitari e di consumo idrico, che dal 30% è passato al 60 %, due fenomeni su cui riflettere. Quello che è chiaro agli studiosi è che L’inquinamento atmosferico (ricordiamo che le regioni più colpite sono state proprio quelle del nord Italia, con alta emissione di inquinanti atmosferici) sembra aver costituito la humus ideale per il Coronavirus, anche in termini di diffusione. Su tale punto importante è l’incrocio dei dati realizzato dai medici ricercatori della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima), tra il 10 d 29 febbraio, da una parte le rilevazioni delle centraline dell’Arpa, dall’altra i dati della diffusione del Virus. Tale incrocio ha evidenziato una correlazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 e PM2,5 e il numero di casi infetti da Covid-19. Il Pm10 eserciterebbe, infatti, un impulso alla diffusione del virus e quindi può essere considerato una concausa. Il particolato, di fatto, funge da facilitatore nel trasporto del virus, quanto la stretta di mano. Il particolato atmosferico funziona quindi come vettore per molti contaminanti chimici e biologici, virus compresi, come è accaduto anche in un recente passato con l’influenza aviaria del 2010, veicolata per lunghe distanze attraverso tempeste asiatiche di polveri, oppure il morbillo (gli studi in 21 città cinesi nel 2013-2014 hanno dimostrato che un aumento significativo delle concentrazioni di pm 2,5 ha inciso sull’incremento del numero di casi di virus del morbillo), o ancora il virus sinciziale umano nei bambini del 2016 e la SARS, che evidenziò come i territori ad alto inquinamento atmosferico avevano una incidenza di infezione dell’84% rispetto a quelle con basso inquinamento. A causa del particolato atmosferico il virus resta nell’aria per giorni e giorni, ecco perché i venti, che spazzano via il particolato,-taglio2- e il clima caldo e le radiazioni solari, agiscono positivamente sulla diffusione de virus, indebolendolo. Tutta l'Europa è sotto costante osservazione dei satelliti ESA, che in Italia hanno rilevato che gli accumuli di NO2 sono diminuiti, soprattutto in Val Padana dove è ben visibile il cambiamento rispetto a marzo 2019. I numeri parlano chiaro: il blocco (praticamente totale) delle città dovuto al decreto del governo sull’emergenza coronavirus ha ridotto in modo drastico l’inquinamento. E’ doveroso ricordare, infatti, che ogni anno circa 3 milioni di persone in tutto il mondo, muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento dell’aria., secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che punta il dito contro i rischi derivanti dall’accumulo di polveri sottili. Secondo l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ogni anno in Italia muoiono per questa ragione circa 34 mila persone, ossia 100 al giorno. Ad essere maggiormente colpiti: Polmoni, cuore e cervello, ma anche il sistema scheletrico ne può risentire, questo perché la bassa qualità dell’aria può provocare asma, disturbi respiratori, polmoniti, disturbi cardiovascolari, tumori, osteoporosi, e persino depressione. Siamo fermamente convinti che il legislatore non può più, come ha fatto in passato, non prendere il seria considerazione l’inquinamento atmosferico. E’ doveroso che una classe politica nel dopo coronavirus inizi a creare un sistema produttivo che cerchi di ridurre in modo considerevole le emissioni inquinanti, perché da queste nuove strategie di produzione e dall’uso ridotto dei mezzi di trasporto inquinanti, come l’auto, dipende il nostro futuro. Il Covid 19 ci ha dimostrato tutta la nostra vulnerabilità, dovuta ad un sistema di vita altamente inquinante. Cambiare quindi gli stili di vita della nostra quotidianità, questo l’impegno che dobbiamo assumere ognuno di noi per evitare momenti di regole estreme per proteggere la nostra salute come sta accadendo mentre scriviamo. Non dobbiamo, dunque, concentrarci solo sulla paura, ma capire che l’umanità deve cambiare prospettiva. A livello lavorativo ad esempio privilegiare lo smart working: niente riunioni, niente spostamenti, diminuzione dello smog, potenziando i trasporti urbani ed extraurbani per diminuire l’uso dell’auto . Ripensare ad un sistema, che oggi si basa su una produttività a tutti i costi e che potrebbe invece essere ridisegnato, impegnandosi di più in quella green economy, che attualmente continua ad essere una economia di nicchia. Ridisegnare il futuro, questo è il grande insegnamento del Covid 19, di cui fare tesoro.