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Combattente dello spirito

di Maresa Galli

Numero 177 - Maggio 2017

Marotta è stato un grande visionario che ha speso la propria vita per creare un futuro migliore per le nuove generazioni e gli rende onore l’intenso, profondo, divertente lavoro di Cappuccio


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Solo un grande sa dipingere il ritratto di un altro grande: Victor Hugo, nel suo “William Shakespeare” definisce Cervantes poeta militante. Come poeta “possiede i tre doni sovrani: la creazione, che genera i tipi e copre di carne e d’ossa le idee, l’invenzione, che fa cozzare le passioni con gli avvenimenti, fa brillare l’uomo sul destino e produce il dramma, l’immaginazione, il sole che crea chiaroscuri ovunque e, dando rilievo, fa vivere”. Al Teatro San Ferdinando è andato in scena “Circus Don Chisciotte”, testo e regia di Ruggero Cappuccio. Prodotto dal Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale, lo spettacolo è interpretato da Ruggero Cappuccio, Giovanni Esposito, Giulio Cancelli, Ciro Damiano, Gea Martire, Marina Sorrenti. Firma le scene Nicola Rubertelli, i costumi Carlo Poggioli, le musiche Marco Betta, disegno luci e aiuto regia Nadia Baldi. Cappuccio, neo direttore artistico del Napoli Teatro Festival, dedica il suo Don Chisciotte contemporaneo al compianto Gerardo Marotta. Don Chisciotte è “Il cavaliere dell’ideale perennemente in lotta con la realtà, al cui materialismo egli oppone la sua meravigliosa illusione di generosità e di purezza”, per dirla con Erich Auerbach. “Il Michele Cervante di Cappuccio è un ex professore universitario che ha perso le proprie sostanze e vaga immaginando un grande progetto di riumanizzazione del mondo. -taglio- Quanto di più paradossale – si chiede Cappuccio – nella figura dell’avvocato fondatore degli Studi Filosofici che ha cercato invano di donare oltre 300.000 volumi alla città di Napoli? Sono tantissimi, i Marotta che lottano per la salvezza dell’umanità. Il professore Cervante, che vaga di notte nella metropoli sempre più surreale, crede di essere discendente di Cervantes. Che lo sia o meno geneticamente, di sicuro lo è in quanto amante dei libri, dotato di una visione e morto da visionario… Nel suo girovagare incontra Salvo Panza e tra i due personaggi agli antipodi nasce una profonda amicizia. Salvo rimpiange di aver lasciato il suo paese natio, bello con le campane, gli ulivi, le ragazze….”Con il suo dialetto napoletano agreste, aristocratico e nobilissimo di Giovanni Esposito, magnifico (e a lungo applaudito) Salvo Panza, mostra come la campagna sia un prezioso scrigno linguistico che racchiude echi del mondo di Basile. Come sempre nel teatro di Cappuccio vi è forte attenzione al piano linguistico, con un italiano eversivo, sospeso nel tempo, il siciliano, il veneziano di Giulio Cancelli (il Duca) e dunque il lavoro rispecchia il doppio registro linguistico, lì dove vi è lo spagnolo alto di Don Chisciotte e le incursioni nel castigliano di Sancho Panza, il basso materiale e corporeo. “L’italiano - spiega il regista - è una lingua meravigliosa ma non facile per fare teatro: è fonetica, ogni frase termina con vocali. Se Borges amava definire la letteratura assemblaggio sinfonico, il mistero dell’opera risiede nel suo sinfonismo. -taglio2-La lingua napoletana, di enorme bellezza, possiede questo corpo sonoro, è un’eredità importante e insieme rischiosa da maneggiare. Salvo è il figuro magnifico di un’altra epoca e anche gli altri personaggi, il Duca, Almerindo (Ciro Damiano), Letizia (Gea Martire), Beatrice (Marina Sorrenti) sono come sospesi tra i sogni e la cruda realtà. Il loro paladino, il paladino degli umili e degli oppressi è proprio Michele. Meravigliosa trovata, la ricerca telefonica dei grandi scrittori, nobili visionari capaci di traghettare l’umanità verso migliore sorte: Luis Sepùlveda, Amos Oz, Paul Auster, Orhan Pamuk, ma sono tutti a casa di Umberto Eco per scrivere un romanzo…“ Spegniamo dunque gli schermi catodici, il digitale, per restituire finalmente alla parola la sua dignità e verginità. Michele Cervante cammina sui libri, grande ponte sempre più incerto che segna il percorso traballante dell’uomo in un’epoca buia. Non rimane che salvare la scrittura. Cervantes crea un romanzo moderno, il più grande romanzo della crisi e del fallimento in Occidente, ben prima di Melville con il suo Capitano Achab e di Kafka. Centrale il rapporto tra realtà e illusione dove il reale non è mai così reale e l’illusione non è mai solo illusione. E dunque che il Don Chisciotte viva nel suo Circus, concetto del virtuosismo corporeo, poiché i personaggi del romanzo danno vita al virtuosismo interiore, vedendo/raccontando cose straordinarie – un virtuosismo dell’anima.





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