Dopo la grande crisi della pandemia potremo rinascere migliori. Ricordiamoci dell’esempio degli scrittori latini
L’esperienza terribile della pandemia di COVID-19 è stata paragonata ad una guerra contro un nemico invisibile e spietato. E noi questa guerra dobbiamo vincerla. E dopo, dobbiamo avere il coraggio di cambiare. In meglio, naturalmente. Dobbiamo decidere di ripartire da zero, magari affrontando una situazione imprevista che necessita una serie di “prese di posizione” nuove.-taglio- Ad esempio, una per tutte, la battaglia sul clima e sulla salvaguardia dell’ecosistema nel nostro Pianeta. E, per essere rinsaldati in questa speranza-certezza, possiamo volgere lo sguardo alla cultura dei nostri Padri, che resero grande e immortale l’antica Roma. La quale fronteggiò molti nemici (dai Galli a Pirro, da Annibale ai barbari) e molte epidemie (tra tutte citiamo la “peste antonina” del 165-180, nota anche come "peste di Galeno"), ma ricominciò, dopo la fase del rischio, a imporsi più forte di prima. Vediamo i risvolti di queste tesi nella storia della letteratura. E cominciamo dal vocabolo “cambiamento”, che i Latini chiamavano con un termine greco (“metamorfosi”) e che diventò la parola-chiave della cultura romana. Almeno tre cambiamenti furono descritti dalla letteratura latina. Il primo era quello alla base delle “Metamorfosi” di Ovidio, che aprì l’era dopo Cristo. In esse l’autore cantò, tra le altre, le metamorfosi di Dafne in alloro (il simbolo della poesia) e di Narciso innamorato di sé stesso nel fiore corrispondente (si scoprì così il Doppio che è in tutti in noi). L’altra opera che esalta il cambiamento sono “Le Metamorfosi” di Apuleio, il fisolofo-mago del II sec. d.C., che narra le peripezie di Lucio, -taglio2-trasformato in asino e poi ritornato allo stato umano dopo un processo di iniziazione spirituale. E siamo all’ultimo “cambiamento”: quello della “conversione”, proposto dal Cristianesimo. Una rivoluzione delle coscienze, di cui ancor oggi avvertiamo una intima esigenza. E le avventure della vita, che in questi giorni hanno messo a dura prova la nostra resistenza, vanno ricordate come monito a noi stessi e a coloro che verranno dopo di noi. Perciò Virgilio, contemporaneo di Ovidio, nel primo libro dell’Eneide, pone sulle labbra di Enea -che intende rincuorare i suoi compagni dinanzi alle difficoltà da fronteggiare- questa memorabile frase: “Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”. Frase, che, Eleonora Pimentel Fonseca citò, salendo sul patibolo nel 1799 in quanto patriota della Repubblica partenopea. Lei subì dolorosamente la morte, ma fu tristemente lieta per aver professato e difeso un alto ideale. Insomma, le grandi gioie sono figlie di grandi dolori. Lo afferma anche la tradizione cristiana. Una delle massime più toccanti contenute nei Salmi biblici recita: “Chi semina tra le lacrime mieterà nella gioia”.