Già tradotto in ventotto paesi, il romanzo d’esordio dell’autrice Avni Doshi, annoverato dal “New York Times” tra i migliori del 2022
Nata in New Jersey, nel 1982, da genitori indiani e residente a Dubai, Avni Doshi è letteralmente esplosa come scrittrice con il romanzo “Zucchero bruciato” (“Burnt Sugar”), tra i finalisti del “Booker Prize”. Una laurea in storia dell’arte presso il Barnard College di New York e un master in storia dell’arte presso l’University College di Londra, -taglio-esordisce a trentasette anni con l’emozionante libro in gestazione per sette anni. Già tradotto in ventotto paesi, il romanzo d’esordio dell’autrice, annoverato dal “New York Times” tra i migliori del 2022, pone al centro della storia il rapporto più che conflittuale tra madre e figlia. Inizialmente intitolato “Girl in White Cotton”, pubblicato per la prima volta nel 2019 in India, è stato poi pubblicato nel Regno Unito e negli Stati Uniti con il titolo di “Burnt Sugar”. La memoria è trasportata dagli aromi e lo zucchero bruciato sa di dolce e amaro, di buono e cattivo allo stesso tempo. Esiste un’immagine dei profumi e dei colori dell’india molto stereotipata, secondo Doshi che così abbassa i toni privilegiando il colore bianco, colore spirituale nell‘ashram, che nella tradizione indiana è luogo di meditazione e di romitaggio, oggi comunità spirituale guidata da un mistico. Inoltre la mente di Tara, la madre, sta diventando una pagina bianca, dimenticando i gesti crudeli verso la figlia ma forse non il bene che le ha voluto. Il cibo rappresenta la casa, i sapori, il rapporto simbiotico e di distacco tra Tara e Antara, la figlia. “Mentirei se dicessi che l’infelicità di mia madre non mi ha mai dato piacere. La simpatia che suscita negli altri dà origine a qualcosa di acre in me”, si legge nell’incipit del romanzo che non fa sconti sui sentimenti, sull’Alzheimer, sui cattivi odori e il cattivo accudimento, il tutto raccontato “con frasi taglienti come bisturi e altrettanto precise e devastanti” (The New York Times). Antara, un’artista indiana, deve accudire la madre malata di Alzheimer nonostante la donna l’abbia trascurata e fatta soffrire, rifiutandola. Tara la ribelle, costretta a nozze forzate, scappata di casa, -taglio2- dai tanti amanti, finirà col vivere in un ashram come moglie del leader spirituale, il guru Baba, descrivendo i comportamenti dei suoi seguaci. Nel romanzo si alternano pagine del passato nelle quali la giovane Antara vive l’abbandono della madre che la considera un peso, ed il presente in cui Antara conduce un’esistenza borghese con il marito Dilip. Quando Baba muore, Tara picchia Antara, di sette anni, chiamandola “puttanella grassa”. E lei impiegherà tutta la giovinezza a cercare di compiacerla per farsi amare. Tanti gesti crudeli sono ormai impressi nella mente della donna costretta, nel prendersi cura della madre ormai smemorata, a rivivere il doloroso passato. È l’accudimento invertito, quando la figlia si assume, giocoforza, il ruolo di madre. La madre, di certo, è stata incapace di sviluppare la sua femminilità e di dare amore. Spesso Doshi adopera frasi velenose, brutali, ma che nascondono tutto l’amore mortificato di una figlia che continua a cercare/amare la madre. “Ho sempre saputo che averti avrebbe rovinato la mia vita”, le dice Tara, ma a sua volta Antara pensa “La amo da morire. Ho capito quanto fossimo profondamente connesse e come la sua distruzione avrebbe portato irrevocabilmente alla mia. Insieme, troveremo la redenzione”. Cerchiamo tutte le risposte fuori di noi, spiega la scrittrice, quando in realtà dobbiamo cercarle al nostro interno per comprendere che i rapporti madre-figlia sono complessi e contraddittori, pieni di luci ed ombre ma anche forti come l’amore che non si spegne neanche nel risentimento o nella malattia.