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Arte sulla pelle

di Paolo Isa

Numero 258 - Marzo 2025

Artista visiva dalle mille sfaccettature Iolanda Merola, che ci racconta gli inizi ed il suo rapporto con la creatività


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Iolanda Merola è nata a Maddaloni (CE), trasferitasi con la famiglia sul Gargano, ha frequentato il Liceo Magistrale per poi proseguire i suoi studi iscrivendosi e terminando con Laurea Magistrale, con il massimo dei voti, all'Accademia di Belle Arti di Foggia. Attualmente è un'artista visiva che concentra la sua ricerca nella Pittura ma, talvolta, si cimenta anche in Performance Artistiche mentre continua a specializzarsi seguendo ulteriori Master in restauro di dipinti antichi e, in corso di formazione, in Arteterapia.



Sin da bambina ha mostrato interesse per l'ambiente artistico e culturale, vuole parlarci brevemente delle sue passioni? “Sì, fin da bambina ho sempre amato disegnare e ricordo che, anche durante le ore di scuola, avevo sempre qualche foglio davanti e le dita sporche di colore per poter esprimere le mie emozioni attraverso l’arte. I miei quaderni avevano tutti quella che all’epoca si chiamava “cornicetta” per abbellire le prime pagine ma mi divertivo anche ad arricchirle attentamente fino a riempire di disegni e forme astratte anche le pagine che seguenti che dovevano limitarsi a contenere appunti di lezioni ed esercizi. Persino, il quaderno di matematica, tra un calcolo e l’altro, era totalmente decorato. Quando mancavano i fogli o i quaderni, mi capitava anche di disegnare direttamente sul banco. Questo però, non mi distraeva dalla lezione anzi, mi aiutava a liberare la mente e a focalizzarmi sulle parole dell’insegnante, anche se a primo impatto si poteva pensare che fossi distratta. Una volta conseguita la maturità, presa dalla fretta di scegliere una facoltà, mi iscrissi a Lettere, amando anche immensamente la letteratura e la poesia. Ma abbandonai due anni dopo e con il supporto della mia famiglia, mi iscrissi finalmente a Belle Arti e da lì in poi andò tutto in discesa. Mi ritrovai immersa in materie che amavo e potei avvicinarmi al mondo della Pittura, circondata da un ambiente stimolante e creativo che mi ha permesso, ad oggi, di mettermi alla prova e di scoprire anche altri lati della mia espressione artistica. Accanto a queste passioni, c’è anche quella della musica per cui, contemporaneamente ai miei studi, ho iniziato anche a frequentare un’Accademia Musicale per canto moderno e pianoforte. Per cui, potremmo dire che l’ambiente artistico mi affascina in tutte le sue forme.” È un'artista visiva che concentra la sua ricerca nella pittura, cimentandosi in varie performance artistiche, come descrive la sua arte?

“La mia esperienza come Artista Visiva si concentra perlopiù sulla sperimentazione del colore e sul rappresentare uno spazio onirico e introspettivo quanto più possibile reale. Inoltre, mi servo di significati e simboli per rappresentare il senso dell’opera. Però, penso che a un certo punto, la Pittura sia voluta uscire dalla tela. Ho scoperto così il mondo della Performance e me ne sono totalmente innamorata. Ho avuto l’occasione, tramite l’Accademia che ho frequentato di poterne inscenare una tutta mia. Un’esperienza che valuto come toccante e ricca. La mia intenzione era quella di mettere in risalto il dialogo, non sempre palese, che si interpone tra i due medium. Mi piaceva l’idea di poter dimostrare che la pittura può a sua volta essere protagonista e/o compagna della Performance Artistica. Ho chiesto alla gente presente di intervenire sulla mia pelle lasciando delle impronte digitali. Chi ha partecipato però, non era a conoscenza del fatto che la vernice messa a disposizione era differente e casuale. Mi spiego, c’erano due boccette di vernice: una indelebile, l’altra lavabile. La sorte, il caso decideva per le persone coinvolte in qualche boccetta intingere il dito. Alla fine, con una spugna, lavavo via le impronte e chiaramente rimanevano solo quelle di vernice indelebile. L’atmosfera era suggestiva. La Performance è stata allestita in una stanza totalmente bianca, con una musica ambientale suggestiva, al buio e con un solo faro che illuminava la mia persona, messa di schiena per non guardare il pubblico direttamente negli occhi. Fu particolarmente toccante poiché il senso lasciava aperte varie interpretazioni. Ritengo che il rapporto che si instaura con un pubblico, possa permettere all’arte, vista in senso tradizionale, di dimostrare che non è “vecchia” o “morta” ma che, invece, può essere perfettamente contemporanea e può ancora coinvolgere attivamente l’esperienza visiva delle persone che diventano così parte integrante e collaboratori degli artisti/performer stessi.”



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