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Ansia e malinconia

di Franco Salerno

Numero 240 - Maggio 2023

Due vie per capire il mondo, scoperte dal mondo classico


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Oggi, nella nostra società esiste il “filo rosso” dell'ansia, intesa come fretta di dover fare, come bisogno percepito di dover "riuscire" sempre. Tutti corrono o vorrebbero farlo. Ma, c'è qualcuno che conosce la direzione giusta? E’ difficile dirlo. Quello che possiamo fare è chiarire i vari aspetti dell’ansia. Per ottenere questo risultato, è sicuramente opportuno vedere come gli antichi Romani parlavano di ansia.-taglio- Possiamo cominciare dall’aggettivo “anxius”, che, registrato nelle “Tusculanae disputationes” (4, 27), ha il significato di “che ha tendenza all’angoscia”. Oppure cominciare dall’espressione “anxius animi” o “animo” (“ansioso nell’animo” o “con l’animo ansioso”). Non sfugga l’importanza della radice “ang” che compare nel vocabolo “angustiae-arum” e significa anche “passaggio stretto”. Ad “ang” è collegabile la radice “ag-ac” (di qui le parole italiane “ago”, “aguzzo”, “acuto” e quella latina “agmen”, cioè “schiera” che “punge” e sfonda la linea avversaria). Poi si può passare alle motivazioni dell’angoscia. Alla domanda “perché si soffre” i Latini rispondono “Perché si è preoccupati per la propria sorte” (Livio, 8, 35) o per la propria salvezza (Plinio, Ep., 4, 21, 4). La letteratura latina contempla varie situazioni di ansia. Ne scegliamo due. La prima è la nota espressione “Ha paura della sua ombra”, che compare nel “Commentariolum petitionis” e che poi riapparirà in Giovenale (10,21) nella formula “Tremerai anche per l’ombra di una canna che si muove alla Luna”. La seconda (che si incentra anche sugli effetti dell’ansia) è la seguente sentenza di Publilio Siro: “Chi ha paura vede anche i pericoli che non ci sono”, quindi ci dà una notazione sulla visione pessimistica dell’esistenza da parte dell’ansioso.-taglio2- Esisteva poi un altro termine, questa volta greco: “malinconia” o “melancholia”, derivante da “mèlas” (“nero”) e “cholè” (“bile”), la quale è uno dei quattro umori che percorrono il corpo -insieme al sangue, al flemma e alla bile gialla-, causando o uno stato di equilibrio o di disequilibrio. La bile nera causa lo stato di disequilibrio che oggi chiamiamo “depressione”. Paradossalmente, la “melancholia” è poi diventato lo stato psicologico, tipico dell’intellettuale pensante, sofferente, geniale, che indaga sul mistero del Mondo. Il tema è stato immortalato da Albrecht Dürer con la sua “Melancholia” datata 1514. Poi, a partire proprio da questa incisione si diffuse una vera e propria iconografia della “melanconia”, avente come idea centrale la rappresentazione di una figura umana con lo sguardo rivolto altrove (o, meglio, verso un Altrove), che, assorta, poggia il viso sul palmo della mano: dal “Doppio ritratto” di Giorgione a “La Melanconia” del reverendo inglese del 1600 Jacob de Gheyn, alla “Melanconia” di Giorgio de Chirico. Era nato un filone culturale che proponeva il Mistero e il Dolore come vie per capire il Mondo.





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