La civiltà classica sembra bellicista, ma in fondo non disdegnò il pacifismo. Un breve viaggio negli aforismi latini dedicati al tema della guerra
L’immane tragedia di una guerra ingiustificabile sta martoriando l’Ucraina. Una guerra terribile, che giunge dopo la pandemia; una guerra che non guarda in faccia a nessuno; una guerra che falcia giovani e vecchie esistenze. Ed essa rischia di andare oltre i confini locali per contaminare anche territori più lontani. -taglio-Popoli e cittadini comuni da sempre hanno pensato che rispetto alla guerra sia di gran lunga preferibile la pace, in cui si vive liberi e capaci di progettare il futuro. Per avere le idee chiare, è utile andare a vedere che cosa hanno pensato e come si sono comportati gli uomini dell’antica Roma, nostri padri e fondatori illustri di una Civiltà che parla ancora al nostro cuore.
Certo è proprio nell’antica Roma che era diffuso il concetto “Chi desidera la pace prepari la guerra”, formulato con tali parole dal funzionario e scrittore romano Publio Flavio Vegezio Renato (IV - V sec.). Ma Cicerone aveva già citato il motto “Se vogliamo la pace, bisogna fare la guerra”. E con parole poco diverse si erano già espressi Livio (“Mostrate solo la guerra: avrete la pace”) e Publio Siro (“Bisogna provvedere in pace a ciò che può servire in guerra”).
Però, già nell’antica Roma questo concetto fortunatamente venne superato da tesi opposte: ad esempio, dalla massima “Migliore e più sicura è una pace certa rispetto a una vittoria solo sperata” citata da Livio, il quale la attribuì ad Annibale che invitava in un suo discorso alla prudenza, distinguendo la “pace certa” che sta nelle nostre mani e la “vittoria sperata” che sta nelle mani degli dei. Lo stesso Cicerone coniò una attualissima correzione ai succitati motti bellicisti, dicendo -taglio2-“Le armi facciano posto alla toga e il trionfo militare all’eloquenza”: egli così conferisce importanza alla discussione, alla diplomazia, alla legge, al diritto, che di sicuro sono più produttivi delle armi, della violenza e della sopraffazione. E oggi di queste discipline e di queste virtù bisognerebbe “armarsi” per vincere la corsa autodistruttiva alla guerra. Di questa -dissero gli antichi- molti fattori sono imperscrutabili e sfuggono ad ogni calcolo razionale: lo sostennero innanzitutto i Greci, da Aristotele a Polibio. E gli scrittori antichi non sottovalutarono un elemento psicologico relativo alla guerra, come l’odio verso quest’ultima da parte delle madri, concetto di derivazione oraziana.
È evidente da queste citazioni come si sia verificata nella cultura latina una sorta di revisione e correzione della massima che celebra la guerra come fonte di pace da cui siamo partiti. I Romani si vantavano di aver creato una “pace Romana”: in realtà entro questa pace, secondo gli scrittori cristiani, fu possibile la diffusione del Cristianesimo, di cui nel tempo fu splendida espressione il francescano saluto “Pace e bene”. La nostra speranza è che, in questi giorni dell’orrore cupo, a trionfare sia proprio questa cultura di pace. Luminosa. Fulgida. Salvifica.