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Amata e talvolta ingrata

di Franco Salerno

Numero 228 - Marzo 2022

In questi anni il concetto di patria e di attaccamento al proprio vessillo nazionale si è lentamente scostato da quello originario, secondo cui la parola “patria” derivava dal concetto di “patres”, cioè di “padri e antenati, fondatori di una nazione”


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In questi anni il concetto di patria e di attaccamento al proprio vessillo nazionale si è lentamente scostato da quello originario, secondo cui la parola “patria” derivava dal concetto di “patres”, cioè di “padri e antenati, fondatori di una nazione”. Dunque nell’antichità classica patria e nazione erano intimamente connesse: entrambi i termini indicavano un terreno comune, connesso alla “nascita” e contenevano un messaggio positivo di fratellanza, inclusione e solidarietà. -taglio- Il termine “nazione” diede poi vita nel tempo al termine “nazionalismo”, che nella recente modernità ha significato “superiorità di una nazione nei confronti di un’altra”, mentre il sostantivo (poco usato) “nazionalitarismo” ha indicato, come recitano i manuali, “una politica tendente al riconoscimento dell'identità nazionale al di fuori di ogni egemonia o imperialismo” (concetto il quale presuppone che ogni singola nazione sia libera in un consesso di nazioni libere). Ma vediamo nell’antica Roma come veniva vista la “Caput mundi” in base a questi concetti. Essa veniva considerata come “Roma eterna” (vedi Tibullo, 2, 5, 23 e seguenti): eterno era il ruolo di Roma, che aveva il compito di dare a tutti i popoli una serie di ordinamenti e di leggi generali, che ne facevano una città-nazione la quale meritava il ruolo di guida. Essere cittadino romano (“civis Romanus”, come disse Cicerone) indicava un livello alto di civiltà, perché si riteneva che Roma avesse dato vita a un sistema appunto “civile”. La cultura romana ebbe, però, la finezza di capire come anche il concetto di “patria” conteneva qualche elemento discutibile. Ne è testimonianza la famosa frase “Ingrata patria,-taglio2- non hai neppure le mie ossa”, che l’esule Scipione l’Africano, come scrive Valerio Massimo, volle che fosse scritta sulla sua tomba per indicare la delusione di un grande personaggio nei confronti di “compatrioti” poco riconoscenti verso chi, come lui, aveva agito per il bene comune. Questa frase rientra in quell’elenco di citazioni, che hanno come loro esempio massimo un ancor più celebre aforisma. Che recita “Nessuno è profeta in patria”: esso riprende in forma concisa un ragionamento fatto da Cristo (e ripreso nei quattro Vangeli) a proposito di sé stesso per esprimere la diffidenza verso di Lui da parte degli abitanti di Nazareth. La frase ritorna poi in Plinio e nei testi medievali ed è oggi ampiamente usata. Oggi in verità spesso sentiamo parlare di “cosmopolitismo”, cioè essere cittadini del mondo, e ci chiediamo: “Essere cittadini di uno Stato impedisce di essere cittadini del mondo?” Diciamo subito di no. Si può amare la propria patria con tutto il suo bagaglio di lingua, tradizioni, usanze e, al tempo stesso, rendersi conto che la propria patria agisce e vive in un contesto più ampio. Insomma, che si può essere Italiani ed Europei al tempo stesso. Non a caso, anche nella recente vicenda dell’elezione del Presidente della Repubblica italiana essere europeista ha rappresentato un titolo “nobile” in più rispetto ad altri.





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