Si riallaccia alla tradizione di respiro europeo, Meola eleva il teatro civile a specchio delle azioni che determinano scelte di vita prive di risvolto consolatorio
Drammaturgo, sceneggiatore e regista, teatrale e cinematografico, formatore teatrale con più di 50 laboratori condotti in scuole, associazioni ed enti, ideatore e direttore artistico di rassegne, progetti di teatro civile e di letture drammatizzate, Giovanni Meola racconta alla pagina scritta il suo “Teatro”. Nel 2003 fonda e dirige la compagnia indipendente Virus Teatrali con la quale produce o coproduce più di 20 spettacoli ospitati in cartelloni, rassegne e festival. Con Virus Film, costola audiovisiva della compagnia teatrale, ha sceneggiato, diretto e prodotto (o co-prodotto) sei cortometraggi cinematografici pluripremiati, lavorando con nomi del mondo dello spettacolo nazionale (Massimo Dapporto, Giulio Scarpati, Mariangela D’Abbraccio) e ha in lavorazione un corto d’animazione e il primo lungometraggio, un documentario dal titolo “La Conversione”. Il suo primo volume, che si intitola proprio “Teatro” (Homo Scrivens, pagg. 246), raccoglie alcuni suoi testi teatrali. -taglio- “Il giorno della laurea”, “L’ amore può essere crudele”, l’atto unico “Come le tessere del domino”, “L’infermiere” (inedito), “Il summit di Carnevale”, “Lo sgarro” e “Màcula”. Il prezioso volume è prefato da Elena Bucci che ha saputo leggere, da attrice, tutto l’entusiasmo, l’energia e il talento che animano la scrittura di Meola, “artista consapevole e colto che lavora puntualmente sulle ferite della sua terra e sulle sue necessità, ma senza smettere di perseguire allo stesso tempo sia una alta qualità artistica che non cede a lusinghe facili, che il desiderio di essere compreso da tutti”. Nelle sue opere, spiega l’artista, “si sentono gli echi delle dinamiche straniate e paradossali della grande drammaturgia contemporanea, da Beckett, a Pinter, a Ionesco, della raffinatezza della scrittura provocatoria e appassionata di Bernhard, ma anche quelli della sceneggiata napoletana e della grande tradizione del teatro italiano, sia in dialetto che in lingua”. Personaggi che Meola racconta con acume, introspezione, comicità dal risvolto grottesco, realismo e surrealismo espressi dalla lingua ricca di sfumature costruita su misura, con sapienza e senso del teatro. Forte è lo spiazzamento, la capacità di leggere l’ambiguità di personaggi e situazioni, di vittime e carnefici, impossibili riscatti e perdizioni dei “buoni” – la ricerca della verità costa ma presenta anche impensabili soluzioni. -taglio2- Un teatro civile ma anche attento ai sentimenti, all’amore, in tutta la sua potenza e con le sue derive. La drammaturgia di Meola si può inserire, per dirla con il professore Armando Rotondi, autore dell’Introduzione, tra i post post-eduardiani, come Fortunato Calvino e Mimmo Borrelli, ma anche tra Patroni Griffi e Cappuccio. Il rapporto con i maestri è background per un teatro in progress che si confronta con il futuro. “La lingua di Meola, sia esso l’italiano o il napoletano, si muove con efficacia tra lingua sporca e lingua letteraria, ma non si presenta mai come una costruzione artificiosa e artificiale”, afferma il critico. E come “Il giorno della laurea” è emblema di una drammaturgia stratificata da decrittare attraverso diversi livelli di lettura, così gli altri testi di Meola offrono una lettura emozionante e complessa ma mai involuta. L’Autore, nella postfazione, definisce il proprio teatro “intimo, crudele, cinico e paradossale”, gioia e responsabilità per un’attività quasi da carbonari in un momento storico nel quale forse solo il Teatro può risvegliare il senso critico ed elevare il dibattito culturale, offrendo anche momenti di pura poesia.