Il significato di “recitare per vivere in Italia” spiegato da Alfio Sorbello, attore che non smette mai di stupire e che non ha paura di scegliere ruoli “particolari”…
“Quando recito mi sento più sicuro”. Questa è una delle prime cose che mi dice Alfio Sorbello, attore dalle mille sfaccettature, che trova nei suoi personaggi quella parte nascosta che non tutti solitamente si soffermano ad osservare con attenzione. Dal suo tono di voce e dal trasporto con cui mi racconta della sua vita professionale, si capisce subito che è uno di quelli che ci tiene parecchio alla propria passione/lavoro. Tra poco uscirà il suo nuovo film “Once (in my life)” dove lo ritroveremo nei panni di Tonio, un personaggio abbastanza fuori dagli schemi, proprio come ci racconta in questa intervista. Alfio ha un curriculum con una gavetta da fare invidia: infatti oltre ad aver studiato all’Actor Studio di Los Angeles, si è formato professionalmente al fianco del maestro Turi Ferro e di Fioretta Mari. La sua carriera, così come la sua vita, è aperta a mille possibilità e se incontra un ostacolo non sta lì ad insistere ma preferisce “cambiare strada per reinventarsi”.
Sono da poco finite le riprese del film “Once (in my life)”, com’è il tuo personaggio?
“Tonio è un ragazzo strambo, particolare. Devo premettere che ci sono alcune persone le quali sostengono che in realtà siamo morti e non ce ne siamo accorti, ci sono varie teorie a riguardo. In questo film, Tonio si trova a vedere la sua morte, quindi insegue il se stesso vivo per avvisarlo di tutte le cose che non dovrà fare altrimenti morirà. Tutta questa particolare vicenda, il Tonio vivo la codifica con suoni mostruosi e deciderà così di scappare, ma più scapperà e più farà danni arrivando alla morte. ‘Once in my life’ è una black comedy ed il mio personaggio ha più sfaccettature, più volti: per dirla tutta non sta bene con la testa, e questo fa sì che tutto diventi comico e a tratti anche tenero.” -taglio- La storia nasconde dentro di sé il senso della nostra esistenza legata inevitabilmente al destino...
“Si, il messaggio principale è che nella vita cerchiamo di risolvere i nostri problemi sempre quando è troppo tardi. Di conseguenza ce li portiamo dietro, perché non riusciamo a tenere il passo con tutto quello che ci accade. Spesso non capiamo quali sono i problemi reali, poiché si nascondono nei dettagli e non in quello che ci fanno vedere.”
Hai dichiarato che Tonio è il personaggio che ogni attore vorrebbe interpretare, perché?
“Assolutamente si, questo ruolo già nella scrittura era pazzesco: Tonio parla da solo, è un bipolare. Se ci pensi ognuno di noi ha due personalità, Tonio però fa tutto ad alta voce: ha una parte stupida ed una più intelligente dentro di lui. Inoltre, c’è un’altra realtà: quella da morto, che per ovvi motivi si differenzia tanto da quella del Tonio vivo. Questo personaggio percepisce tutto in maniera diversa, la difficoltà dell’interpretazione sta proprio in questo. Recitando il ruolo di Tonio sono diventato tre persone diverse. La bellezza del film è proprio nella difficoltà, se sei un attore e ti arriva un ruolo del genere è una bella sfida da accogliere. Molto bravo è stato il regista Francesco Colangelo a farmi camminare nella direzione giusta, sarebbe bastata una sbavatura per cadere nel ridicolo.”
Fino ad ora non ti sei fatto mancare niente: hai lavorato a teatro, al cinema, passando per le fiction, le pubblicità ed i cortometraggi. Ti è mai capitato che uno dei personaggi interpretati influenzasse la vita vera di Alfio?
“Allora, devo dire che mi è sempre piaciuto, molto istintivamente, allontanarmi da Alfio. È vero che in Italia non scegli i ruoli, ma ti adatti a quello che ti offrono, però per fortuna anche quando c’è stato un personaggio che inizialmente poteva assomigliarmi, l’ho sempre portato fuori da me allontanandomi da quello che sono io realmente. Ahimè in Italia è il personaggio che porta se stesso in tutti i film, cosa che a me non interessa fare. Ho un’altra concezione dell’attore: l’attore è quello che si distacca e che non tiene se stesso in ogni ruolo per farsi riconoscere. Di quanti film non si ricorda il nome ma ‘è il film con...’, e non dove c’è quell’attore che sta interpretando un personaggio. Ad esempio, quando -taglio2- ho vissuto a Los Angeles, all’Actor Studio ogni mese veniva un attore o un regista a parlare con gli studenti; un giorno è stato il momento di Edward Norton, attore famosissimo, che in quell’occasione disse di aver deciso di fermarsi per alcuni anni. Spiegò che era arrivato ad un momento in cui la gente vedeva Edward Norton e non più il personaggio che interpretava. In Italia, invece, se ti fermi tre anni devi trovarti un nuovo lavoro!”
Dopo l’Actor Studio la scelta di ritornare in Italia è stata una necessità dettata da fattori esterni, oppure una decisione consapevole?
“Il mio arrivo a Los Angeles è stato casuale. Ero in teatro con Fioretta Mari e, dopo aver assistito allo spettacolo, Anna Strasberg mi invitò ad andare all’Actor studio. Non parlavo inglese, avevo ventidue anni ed ho accettato la sfida! Lì ho capito che loro sono cosi bravi perché si ‘proteggono’; i ruoli li danno agli americani ed è difficilissimo che un attore straniero arrivi come un signor nessuno e si costruisca una carriera degna delle migliori star. Non esiste, quello succede solo agli americani. Tu, invece, vai lì, acquisisci la tecnica e te ne torni nel tuo paese. Diventi bravo nella tua realtà e poi se dimostri di essere valido nel tuo paese riuscendo a distinguerti dalla massa, allora ti richiamano. Vedi Giannini, Favino, Penelope Cruz.”
Hai progetti in cantiere?
“Attualmente mi sto concentrando sulla scrittura della mia opera prima, debutterò alla regia. Inoltre, ho girato un videoclip per Fernando Alba, autore siciliano molto bravo.”
Com’è stato passare da attore a regista?
“Beh, lo definisco un processo del tutto naturale. Mi trovavo in campagna, isolato dal resto del mondo, qualche giorno prima di andare lì avevo incontrato un amico che non vedevo da 17 anni: era cambiato in tutto e per tutto. Durante il nostro incontro mi ha raccontato tutto ciò che gli era accaduto in tutto questo tempo, mi ha sconvolto! Una volta in campagna mi sono accorto che la sua storia mi frullava nella testa: immaginavo le scene, e così ho deciso di iniziare a scrivere. Questa cosa dell’attore in prospettiva con il regista e lo sceneggiatore è una cosa venuta naturalmente. Ho sentito la necessità di raccontare.”