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Alessandro Porro

di Silvia Giordanino

Numero 252 - Luglio-Agosto 2024

Uno degli uomini simbolo di SOS Mediterranee ci racconta la realtà di un tratto di mare ancora pieno di troppi morti, insidie da superare e una burocrazia cieca di fronte a disperazione e richieste di aiuto


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Prendiamo la pellicola pluripremiata al “David di Donatello” IO CAPITANO (che ha fatto incetta di premi) di Matteo Garrone. Acclamata da pubblico e critica, narra una delle storie che già tante volte, purtroppo, abbiamo sentito per mezzo dei media. In un’odissea contemporanea, i due protagonisti: Seydouemou e Moussa lasciano Dakar per raggiungere l’Europa,-taglio-attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare. Il miracolo cinematografico di IO CAPITANO sta proprio nella totale empatia con cui condividiamo il loro viaggio, liberi dalle nostre paure e dagli odiosi pregiudizi per cui i migranti sono clandestini prima che persone. Ma quel viaggio dei migranti, va raccontato proprio tramite quella magnifica metaletteratura che ben calza nella narrazione “priva di sbavature” che, forse, soltanto la cosiddetta settima arte riesce a comunicare. Possiamo invece avvalerci della testimonianza diretta di Alessandro Porro, fino allo scorso anno Presidente di SOS Mediterranee, organizzazione ONLUS marittima e umanitaria sostenuta dalla società civile. Sappiamo del tuo impegno nella croce rossa, ora a Udine. Ma come sei arrivato a SOS Mediterranee? “Il mio impegno nei confronti di SOS Mediterranee e arrivato per mezzo di un’abilitazione a fare soccorso in acqua che poteva essere utile sui gommoni di soccorso nel mediterraneo. Cercavano qualcuno che fosse in grado di fare una rianimazione cardiopolmonare direttamente in mare. Ho poi preso le varie certificazioni che servono per stare in mare (antincendio, sicurezza, etc.) ed è andata avanti una carriera in un lavoro assolutamente atipico che per me è durato per adesso sette anni.” Soffermiamoci sulla tua esperienza su S.O.S mediterranee: quando e per quanto tempo ci sei rimasto? “Sono entrato in SOS Mediterranee nel 2017. Nel 2016 ero con la croce rossa a Onoratico a fare servizio per i turisti in spiaggia. E mentre con la moto d’acqua andavo a recuperare turisti tedeschi lungo il litorale, ho visto le prime fotografie di soccorritori civili nel mediterraneo. Avevano le mie stesse attrezzature. Ma invece di lavorare per turisti, per privilegiati, lavoravano per persone che stavano realmente affogando. Quella foto, su “L’ Internazionale” mi ha illuminato. Tengo a sottolineare che più di 23mila persone hanno perso la vita nelle acque del Mediterraneo dal 2014. I sette anni di esperienza sono stati molto intensi: da un lato ho affinato la parte tecnica del soccorso in mare, dall’altro ho visto soprattutto la parte umana. Nel nostro mondo siamo portati a disumanizzare le persone che attraversano il mare. Queste persone nei giornali sono viste come dei numeri; ma quando le tocchi, quando le annusi, non puoi che rimanere “vittima” della tua stessa empatia. Si diventa testimoni di una guerra non dichiarata nei confronti di persone vulnerabili.” Quale è stata la tua esperienza più significativa in questa realtà? Quale la più umanamente toccante? “Le più significative sono state due: una molto positiva e una molto negativa. Quella positiva è capitata all’inizio della mia missione nel 2017, quando una donna su un gommone di 120-130 persone aveva appena partorito e il bambino era ancora attaccato a lei tramite cordone ombelicale. Ci ha impressionati. Anche per questo sulle navi abbiamo anche ostetrica e personale in grado di prendersi cura di bambini appena nati o delle numerose gestanti. -taglio2- Altra esperienza, altrettanto forte ma negativa, è capitata due anni fa. Arriva una segnalazione di un gommone in difficoltà a molte ore di navigazione da dove eravamo. Tempo pessimo, la notte affrontiamo una tempesta con onde alte fino a sei metri. Ero sull’Ocean Viking, imbarcazione di 70 metri e mi sentivo vulnerabile, figuriamoci essere su un gommone di 4 metri. Lo troviamo solo a mezzogiorno. Nessuna collaborazione da parte della guardia costiera Italiana né di quella Libica. Solo una petroliera e una portacontainer ci danno aiuto a rintracciarlo. Ma quando arriviamo il gommone è ormai distrutto e attorno galleggiano i corpi di più di 100 persone, di cui nei giorni seguenti i parenti hanno pubblicato le fotografie. Mare pericoloso da tutti i punti di vista.” Sappiamo di problemi con le autorità. Quali sono? “Nel corso degli anni le autorità Italiane e quelle Libiche hanno reso l’attività di soccorso in mare più complicata nonostante il susseguirsi di governi di orientamento diverso. Si inizia nel 2017, quando viene introdotto il concetto di “taxi del mare” e stilato un codice di condotta nei confronti delle ONG per suggerire all’opinione pubblica che i soccorritori civili non rispettino le regole; cosa non vera. Siamo invece destinatari di una campagna denigratoria. Tralascio oltre passato, ma ci si trova con l’attuale governo, ad assegnazione di porti di sbarco molto lontani (Genova, Livorno, La Spezia, Ravenna, Ancona) che costringono a giorni extra di navigazione con impatto economico molto importante, oltre distrarre una nave ambulanza dal soccorso. Oltre a questo, il decreto Piantedosi permette di mettere in fermo amministrativo sulla base di generico “non rispetto delle regole”. Negli anni tutti i processi a carico di ONG hanno avuto come esito l’assoluzione. Riguardo ai Libici, nonostante siano pagati da Italie ed Europa per fare controllo di frontiera, non son mancati gli episodi in cui i Libici hanno usato le armi contro le ONG: armi spianate, siamo stati inseguiti e hanno aperto il fuoco su navi civili. Oltre a questo, ci sono stati tentativi di interferire durante i soccorsi, scatenando il panico e rendendo molto più complicata la messa in sicurezza delle persone, senza rispettare né i diritti umani e neppure quello della navigazione.” Quello che ritieni utile specificare o aggiungere “È importante ricordare che soccorrere in mare è obbligatorio, come lo è in città o sulle strade. Ma l’Europa prende la posizione opposta. Paradossalmente le persone in pericolo vengono considerate persone pericolose. Nonostante questo, SOS Mediterranee, con la Aquarius prima e con l’Ocean Viking poi, ha salvato circa 40.000 persone. Son l’equivalente di una città più grande di Alba, più grande di Aosta. Persone che sono vive solo grazie all’intervento di persone civili. E ne sono molto orgoglioso.”





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